Maria scrollò lo straccio per
la polvere fuori dalla finestra e si fermò un istante a guardare con una punta
d’invidia le rose che stavano sbocciando nel giardino della vicina, poi tornò rapidamente
alle sue faccende: doveva lavare la tenda del soggiorno, quella di pizzo che
mostrava con orgoglio agli ospiti, ogni volta che se ne presentava l’occasione.
Fatta a mano, all’uncinetto, con tanto amore e tanta pazienza, dopo che Antonio
le aveva chiesto di sposarlo. C’era voluta un’intera estate di lavoro, ma il
risultato era veramente una raffinatezza.
Salì sulla scaletta di legno
che utilizzava per i lavori di casa e cominciò a sganciare il bordo superiore
dal supporto. Non c’era fretta, tanto Antonio aveva già telefonato per
avvertire che non sarebbe tornato per cena. Un tempo, il pranzo e la cena erano
un vero impegno: l’arte di imbandire la tavola, la ricerca di piatti diversi e
nuovi ogni giorno, per accontentare e sorprendere dapprima solo Antonio, poi
anche sua figlia Alessandra, che era stata sempre di gusti un po’ difficili e
da bambina anche inappetente e sottopeso.
Ma ora, ormai, Alessandra si
era fatta la sua vita. O meglio, forse stava cercando di distruggersela.
Maria non poteva ancora capacitarsi
di come fosse cambiata sua figlia, crescendo: era così carina e dolce, da
piccola, con quei vestitini che lei le cuciva personalmente. Poi era arrivata
l’adolescenza, i miti americani, quelle orribili lunghe gonne a fiori, quegli
assurdi discorsi sull’oppressione delle donne nella società capitalista… finchè
un giorno Alessandra aveva avuto uno scontro durissimo con suo padre e aveva
accusato lei di essere una stupida oca con il complesso della serva; aveva
detto proprio così, ricordò Maria con una fitta di dolore allo stomaco. E se
n’era andata. Ora viveva da qualche parte, in una specie di comune o roba
simile – che vergogna!
La tenda, completamente
sganciata, cadde pesantemente a terra; Maria scese dalla scala e la raccolse,
tenendola delicatamente tra le braccia, come si fa con un bambino.
Si fermò ad osservare i
soprammobili disposti in ordine sul mobile del salotto: tutti rosa, questa
settimana, per festeggiare l’arrivo della primavera. Era un suo vezzo, quello
di cambiare periodicamente i soprammobili, intonandoli con il centrotavola e i
centrini, per dare di volta in volta un tocco di colore diverso all’ambiente.
Faceva un’ottima impressione, quando avevano ospiti. Già, gli ospiti: i primi tempi
del loro matrimonio, invitavano spesso a cena gli amici o i colleghi di lavoro
di Antonio e altrettanto spesso venivano invitati. Poi, a poco a poco, le cene
e le uscite si erano diradate: Antonio faceva spesso tardi al lavoro e quando
tornava era stanco. Poi, i ritardi avevano cominciato a prolungarsi anche oltre
l’ora di cena.
Era stato in quel periodo che
Alessandra aveva cominciato a dare in escandescenze, soprattutto con suo padre.
Un giorno le aveva detto, perfino: “Ma perché non lo lasci?”
Una cosa orribile da dire alla
propria madre: Maria l’aveva cancellata dai suoi ricordi per lungo tempo, ma,
chissà perché, ora quella frase le era tornata in mente all’improvviso, così,
mentre teneva tra le braccia la tenda di pizzo fatta a mano.
Il telefono trillò
nell’ingresso: all’altro capo del filo, Antonio diceva che avrebbe fatto molto tardi,
non era il caso che lei lo aspettasse alzata. Insieme alle parole di lui, le
giunse all’orecchio un soffio, forse un respiro.
Quando posò la cornetta, si
rese conto che stringeva ancora a sé la tenda e le sembrò l’unica cosa
importante nel silenzio della casa. Allora si sedette sul divano del soggiorno,
accuratamente protetto da un bel telo in tinta con il centrotavola, e cominciò,
da un angolo, a tirare un piccolo filo di cotone: piano piano, con movimenti
delle mani prima lenti ed incerti, poi sempre più rapidi ed esperti, si
avvolgeva il filo su due dita, mentre la tenda gradualmente si disfaceva.
Era ormai buio fuori, quando
Maria completò l’ultimo gomitolo: lo posò accanto a sé sul divano, vicino agli
altri sette, tutti uguali, col filo ben teso. Li osservò un istante,
trattenendo il fiato, poi li infilò tutti nella borsa, insieme a poche altre
cose, e uscì di casa senza portare con sé neppure le chiavi.
Fuori, la luna piena in un
sereno cielo primaverile sorrideva alle rose della vicina e sorrise anche a
lei, che, con la borsa elegantemente appoggiata sul braccio, si avviava lungo
la strada deserta.
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