Benvenuti in Letteratura e dintorni!

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Università aperta Giulietta Masina e Federico Fellini ha sede a Rimini e si occupa da anni di educazione permamente per un pubblico vasto e variegato per età, inclinazioni e interessi. Questo blog è dedicato in particolare a tutti coloro che frequentano, hanno frequentato o vorrebbero frequentare i nostri corsi di scrittura ma anche a tutti coloro che amano leggere, scrivere, confrontarsi su argomenti letterari.


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domenica 29 aprile 2012

Francesca Mairani – Il visionario, la voce e la legge



L’ultima cosa che aveva visto era stata un bianco con una giacca di cuoio che gli veniva incontro sorridendo. Poi c’era stato il colpo, una luce violenta dentro agli occhi e subito dopo il buio. Si era svegliato con le mani e i piedi legati, seduto su una sedia, gli occhi bendati e qualcosa di ruvido, forse una corda, intorno al collo.
Intorno a lui odore di erba e letame. Era in una stalla? Non si sentivano cavalli nitrire, né mucche né altri animali. Solo il cigolio di una banderuola segnavento e, lontano, l’abbaiare di un cane. Poi era arrivata la voce.
“Ci siamo svegliati, negro?”
“Dove sono? Che è successo?”
“Sei nella tana del lupo, agnellino. E stai per essere mangiato.”

La voce gli arrivava sia da destra che da sinistra, alternativamente. Il klansman doveva essere vicino. Forse gli girava intorno. Ma avvertiva i suoi passi soffocati, come se camminasse sulla paglia. Di certo gli arrivava il suo odore. Un misto di acqua di colonia e sudore, una specie di fetore dolce. I bianchi hanno un odore che li riconosceresti fra mille, come se la carne gli si marcisse addosso. Ebbe un conato ma si sforzò di trattenerlo.
“Cosa ho fatto? Cosa volete da me?”
“Quello che hai fatto lo sai: sei negro. Quanto a quello che vogliamo da te… risposte. Vogliamo solo farti delle domande. E tu risponderai, se ci tieni alla pelle.”
“La conosco la legge del Klan. Non mi lascerete andare.”
“Oh… tu conosci la legge del Klan.” La voce gli arrivava ora dall’orecchio sinistro. Il klansman doveva essersi fermato accanto a lui.
“Tu conosci troppe cose, negro. E ne vai anche raccontando di più. Cosa sei? Eh? Dimmi cosa sei. Sei un fottuto stregone africano? Fai le magie, eh, negro?”
“Non sono uno stregone.”
“E allora chi sei? Sei una chiromante? Leggi il futuro nella palla di vetro? Chi ti suggerisce tutte le sciocchezze che dici? Chi te le mette in testa?”
“Io… io vedo delle cose”.
“Vedi delle cose? E dove le vedi? Perché non lo racconti al vecchio Curtis?”
“Le vedo qui. Nella mia testa. Chiudo gli occhi e…”
“Nella tua testa c’è solo merda, negro!” La voce era un urlo che gli arrivava direttamente in faccia. Gli spruzzi di saliva si posavano sulle sue guance e si mescolavano al sudore. Aveva la vescica piena e la voglia di vomitare si era fatta impellente. Non sarebbe mai uscito vivo di lì.
“Nella testa di tutti i negri c’è merda!”
Sentiva i passi soffocati dalla paglia allontanarsi e poi riavvicinarsi. Il klansman aveva il respiro pesante. Poi parve riacquistare una certa calma.
“La tua colpa, negro, è che quella merda non te la tieni per te. Vai spargendola in giro. E ci offendi, con la tua merda. Offendi l’America stessa. Cosa è questa storia guerra? Eh? Una guerra dove l’America combatterà dalla stessa parte dei russi. Quelli sono comunisti, negro. L’America non combatte con i comunisti. L’America li annienta”
“Non è una storia. L’ho visto. Una guerra, gente che moriva, soldati. Posti lontani, là, oltre il mare. Uomini con la pelle gialla. E un’esplosione così forte che faceva tremare la terra.”
“Tu sei pazzo, negro.” La voce era un sibilo.
“Sei pazzo e vorresti far impazzire anche noi. Ma non credere che ti lasceremo fare. Lo sai cosa dice la Legge del Klan, negro? Dice noi klansmen dobbiamo far rispettare la supremazia dei bianchi. E per farlo dobbiamo annullare voi negri. Schiacciarvi. Voi siete la feccia dell’America. Siete come una malattia. Ma noi abbiamo la medicina. Vi appendermo agli alberi di ogni contea. Ogni quercia di ogni stato avrà il suo bel raccolto di negri penzolanti.”
“Non siamo feccia!” La nausea si era trasformata in rabbia. Morire per morire, almeno morire con la verità in bocca, questo gli aveva sempre detto suo padre. E se al klansman la verità non piaceva, peggio per lui.
“Non siamo feccia. E diventeremo parte di questa nazione. Combatteremo anche noi questa guerra e ci faremo onore. Impareremo a leggere, a scrivere, studieremo. Diventeremo avvocati, medici, insegneremo nelle scuole. Diventeremo poliziotti. Professori. Generali.”
“Avvocati. Medici. Niente di meno. Addirittura generali.” Il klansman era davanti a lui. Lo sentiva muoversi. Sentiva il suo odore. Lo sfotteva. Non gli credeva. Rideva di lui.
“Addirittura Generali, negro. Cosa altro? Eh? Cosa altro diventerete, voi negri?”
Al diavolo klansman, pensò. La avrai la verità che ti meriti.
Lo sparo rimbombò nella notte, facendo abbaiare i cani e nitrire i cavalli nell’aia. L’uomo con la giacca di cuoio spalancò la porta della stalla ed entrò correndo.
“Curtis! Curtis, stai bene? Che è successo?”
Il klansman era seduto sopra un barile. Con la destra teneva stretto a sé il fucile. Un filo di fumo usciva dalla canna, appena percettibile nella penombra.  
“Ma… gli hai sparato? Dovevamo portarlo alla riunione, stanotte. Dovevamo portarlo integro, ricordi. Ci avremmo pensato dopo a… a sistemarlo. Gli altri avranno già iniziato ad arrivare. E adesso cosa gli raccontiamo?”
Il klansman si era tolto il cappuccio. Aveva la testa rotonda, il viso grassoccio dalle guance rosate e cadenti. Un vecchio neonato. Si passava una mano sui pochi capelli, che il sudore aveva incollato al cranio. Lo sguardo perso davanti a sé, come cercasse qualcosa che non riusciva a trovare.
“Non ce l’ho fatta, John. Non ho potuto resistere. Gli altri.. gli altri capiranno. Non ho potuto fare altro. La Legge del Klan... gli altri capiranno.”
“Ma… ma che è successo?”
“Ha detto una cosa… mi ha fatto perdere il controllo. Era… troppo. La legge... La legge dice che dobbiamo stimare gli Stati Uniti più di ogni altra cosa. Le sue istituzioni. E io… io le ho dovute difendere. Ho dovuto difendere l’onore del nostro Presidente”.
“Non capisco, Curtis. Ma che ha detto quel maledetto negro?”
“Lui… lui parlava del futuro. Di negri che diventeranno avvocati, e generali… e io non gli credevo, non gli ho mai creduto per un solo attimo. Ma poi è andato oltre e io… non ho potuto fare altro.”
“Ma che cazzo ti ha detto, si può sapere?”
Il klansman spostò lo sguardo dal nulla e lo piantò in quello dell’uomo davanti a lui. Aveva le pupille dilatate e grosse lacrime che gli scedevano lungo le guance.
“Quando ha detto Presidente, John. Quando ha detto ‘Presidente degli Stati Uniti. E’ stato il quel momento, che ho dovuto sparare.”

5 commenti:

  1. Molto, molto carino, Francesca.

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  2. Molto, ma molto, ma molto bello. Carla.

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  3. Veramente complimenti, Francesca, un racconto avvincente e costruito con tanta maestria!
    (PS: ma perché non facciamo anche quest'anno un'antologia? avete scritto dei racconti così belli! Pensateci, io durante l'estate sono disponibile, se volete...)

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. bel racconto, Francesca! complimenti

    manuela

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