Le recensioni del venerdì |
Non ricordo quando, come e perché mi sono innamorata del Portogallo, fatto sta che mi piacerebbe moltissimo visitarlo. Nell'attesa di realizzare questa impresa (non dispero) mi consolo leggendo, anzi rileggendo, Viaggio in Portogallo di Saramago, acquistato una decina di anni fa.
Il libro non è coinvolgente come un romanzo, poiché si tratta piuttosto di un resoconto. Saramago racconta, con un lessico ricchissimo e la prosa superba che lo contraddistingue, l'arte, la storia, il paesaggio, le leggende del Portogallo. Lo scrittore rifugge dai soliti itinerari turistici. Affidandosi all'istinto del viaggiatore e all'amore per la sua terra, si lascia sedurre dai nomi e dalla bellezza dei luoghi che incontra (in molti casi paesini che il turismo ignora, granelli di polvere sulla carta geografica) e dalle opere d'arte in essi conservate.
Nella presentazione, Saramago, dice:
"Mal gliene incoglie all'opera se le richiedono una prefazione che la spieghi, mal gliene incoglie alla prefazione se presume tanto. Conveniamo, dunque, che questa non è una prefazione, ma un semplice avvertimento o un preavviso, come quell'ultimo messaggio che il viaggiatore, già sulla soglia della porta, già con lo sguardo rivolto all'orizzonte prossimo, lascia a chi rimane a badare ai fiori. La differenza, se c'è, è che l'avvertimento non è l'ultimo, ma il primo. E non ce ne saranno altri.
Che il lettore quindi si rassegni a non disporre di questo libro come di una normale guida, o di una mappa da tenere sottomano, o di un catalogo generale. Alle pagine che seguono non si dovrà ricorrere come a un'agenzia di viaggi e di turismo: l'autore non è qui per dare consigli, benché ridondi di opinioni. Vi si troveranno, questo è pur vero, i luoghi selezionati del paesaggio e dell'arte, l'aspetto naturale o trasformato della terra portoghese: ma non sarà forzatamente imposto, o abilmente orientato, alcun itinerario solo perché le convenzioni e le abitudini hanno finito per renderlo obbligatorio a chi da casa propria si allontana per conoscere quello che c'è fuori. L'autore, senza dubbio, è andato dove si va sempre, ma è pure andato là dove non si va quasi mai.
Che cos'è, in fondo, il libro che una prefazione possa annunciare con una qualche utilità, sia pur non immediata a prima vista? Questo Viaggio in Portogallo è una storia. Storia di un viaggiatore all'interno del viaggio da lui compiuto, storia di un viaggio che in se stesso ha trasportato un viaggiatore, storia di un viaggio e di un viaggiatore riuniti nella fusione ricercata di chi vede e di ciò che è visto, un incontro non sempre pacifico tra soggettività e oggettività. Quindi: emozione e adattamento, riconoscimento e scoperta, conferma e sorpresa. Il viaggiatore ha viaggiato nel proprio paese. Il che significa che ha viaggiato all'interno di se stesso, per la cultura che l'ha educato e lo sta educando, significa che per molte settimane è stato riflettore delle immagini esterne, un vetro trasparente attraversato da luci e ombre, una placca sensibile che ha registrato, in transito e progresso, le impressioni, le voci, il mormorio interminabile di un popolo.
Ecco ciò che voleva essere questo libro. Ecco ciò che suppone di aver conseguito in parte. Prenda il lettore le pagine che seguono come sfida e invito. Faccia il proprio viaggio secondo un proprio progetto, presti minimo ascolto alla facilità degli itinerari comodi e frequentati, accetti di sbagliare strada e di tornare indietro, o, al contrario, perseveri fino a inventare inusuali vie d'uscita verso il mondo, non potrà fare migliore viaggio. E, se sarà sollecitato dalla propria sensibilità, registri a sua volta quel che ha visto e sentito, quel che ha detto e sentito dire. Insomma, prenda questo libro come esempio, mai come modello. La felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo."
Saramago compie un viaggio lungo 500 pagine. Il suo andare è fatto di frasi lunghe e lunghi respiri (per camminare tanto ci vuole fiato), e il lettore asseconda il tempo lento del viaggiatore. Così come lo scrittore cammina e si ferma a guardare, allo stesso modo il lettore legge e si ferma a guardare. "Così dovrebbe essere il viaggio. Stare in un posto, trattenersi". Anche la lettura dovrebbe (forse) essere questo: leggere, fermarsi e trattenersi.
Saramago guarda se stesso da fuori, pertanto parla di sé in terza persona, chiamando il protagonista del libro "il viaggiatore", e dialoga continuamente con il lettore: "Se il viaggiatore non fosse chiaro in quello che scrive, lo chiarisca chi lo legge, ché è anche suo dovere".
Lo scrittore è consapevole che l'esperienza dei cinque sensi è difficile da restituire al lettore attraverso le parole, infatti dice: "Il viaggiatore si rammarica che una riga di parole non sia una catena di immagini, di luci, di suoni, che fra di esse non circoli il vento, che su di esse non piova e che, per esempio, sia impossibile attendersi che nasca un fiore dentro la o della parola fiore".
Al termine del viaggio, Saramago, si congeda così: "Non è vero. Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto «Non c'è altro da vedere», sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di note, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, l apirtra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito".
Chiudo il libro e spunta un prato. Ma le linguine verdi che ho davanti agli occhi non sono fili d'erba, bensì post-it che ho infilato tra le pagine per ritrovare facilmente la strada che porta ai brani che avrei voluto condividere con voi: riflessioni, descrizioni di luoghi e incontri pieni di poesia. Ma sono tanti e mi sono già dilungata troppo.
Barbara
P.S.
Stella aveva consigliato di non essere telegrafiche, mi sa tanto che l'ho presa troppo alla lettera. Mi impegnerò molto per cercare d'essere più breve, per questa volta vi chiedo di perdonarmi.
Insomma, nessuno è perfetto...
Un complimento e una critica, Barbara.
RispondiEliminaComplimento: la recensione mi è piaciuta molto perché mi sembra descriva bene il libro e nello stesso tempo dà delle note personali, come il tuo amore per il Portogallo, il prato di post-it verdi (carinissimo).
Poi trovo originali e coinvolgenti i link a "Lisbon Story", con la bellissima canzone finale. Ricordo che anche Piervittorio Tondelli nel suo romanzo "Rimini" aveva messo, in fondo, la colonna sonora: un elenco di brani da ascoltare leggendo (penso). Allora mi era sembrata un'idea geniale e mi è tornata in mente con la tua recensione - un tuffo nel passato.
La critica: secondo me, sono un po' troppo lunghe le citazioni. Forse avresti dovuto "filtrarle" un po', però riconosco che danno un bell'assaggio del libro e quindi non stonano affatto.
Quindi, brava. Mi hai fatto venire voglia di leggerlo e credo che questa sia la migliore reazione che possa desiderare un recensore.
manuela
Riguardo alla critica, Manuela, hai ragione da vendere. Mi sono fatta prendere la mano e riconosco di avere esagerato. L'unica scusante è che mi pareva ci fossero così tanti spunti di riflessione che non sapevo dove tagliare.
RispondiEliminaSe avessi dato retta all'impulso iniziale avrei trascritto tutto il libro, però 500 pagine... :-)
A me piace moltissimo associare della musica a quello che leggo o scrivo, mi sembra di creare una specie di "colonna sonora del momento".
Barbara
In effetti spunti di riflessione nelle citazioni ce ne sono tanti...mi piace ad esempio ciò che dice Saramago delle prefazioni (che a dire il vero mi hanno sempre infastidito ed ho sempre saltato a piè pari).
RispondiEliminaQuanto alla colonna sonora della lettura, condivido in pieno; spesso quando scrivo sento che nel testo manca la musica; sarebbe bello poterla inserire nei libri (ora negli e- book si può...)