Per i greci, il mondo era abbracciato e racchiuso da un fiume, Oceano; per me, il fiume che circonda la Terra è il Gange,
col cui grande fluire cominciano "I misteri della giungla nera" di Salgari, il primo libro che io abbia letto e dunque destinato a rimanere in qualche modo per sempre il Libro, l'incontro con la parola che contiene e insieme inventa la realtà. A dire il vero, ho cominciato a leggerne la seconda parte, quando Tremal Naik, costretto ad assecondare i Thugs per liberare l'amata Ada, finge di porsi al servizio degli inglesi sotto il nome di Saranguy; avevo compiuto da poco sei anni e appena imparato a leggere e la prima parte me l'aveva letta, un po' per giorno, mia zia Marta, quando non sapevo ancora decifrare l'alfabeto. Ho dunque imparato a leggere su Salgari e inoltre le gesta di Kammamuri e della tigre Dharma sono legate alla voce dalla quale le ascoltavo, trascinato dalla storia e indifferente all'autore - anzi, ignaro, in quel momento, che ci fosse un autore e che una storia ne avesse bisogno, convinto che le storie si narrassero da sole e che agli uomini, scrittori o no, spettasso solo il compito di ripeterle e trasmetterle. Da allora, ho sempre in qualche modo pensato che la letteratura, nella sua essenza, sia un racconto orale e anonimo; sarebbe meglio che gli autori non esistessero o almeno non fossero identificati, se fossero sempre morti - come disse una volta una bambina di Grado a Biagio Marin - o costretti all'incognito e alla latitanza.
[...]
Insieme a Salgari, c'erano subito molti libri, veri "libri di lettura", il cui elenco è la mia carta di identità.
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Nella letteratura ci sono molte dimore e non occorre scegliere ideologicamente fra voci contgrastanti; si può - si deve - credre insieme alla fede di Tolstoj e all'inerzia di Oblomov; i grandissimi scrittori sono quelli il cui angolo prospettico abbraccia trecentosessanta gradi. Talvolta mi chiedo da che parte sto, se la mia storia è quella raccontata da "Guerra e pace " oppure dalla "metamorfosi" di Kafka o dall'"Autodafè" di Canetti. forse la mia odissea letteraria è quella che racconta il viaggio al nulla e ritorno; forse per questo gli scrittori che mi hanno insegnato di più sono quelli che danno vce imparziale alle corde più diverse e alle passioni più antitetiche, alla fede e al niente - come Singer, senza il quale sarei diverso da quello che sono.
Benvenuti in Letteratura e dintorni!
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Su invito di Manuela, ho postato una parte del brano di Magris che vi avevo proposto in uno degli ultimi incontri. Probabilmente non è esattamente lo stesso (per problemi tecnici non ho più quello che vi avevo letto), ma credo ci siano comunque molte sollecitazioni.
RispondiEliminaIn un altro punto dello stesso testo Magris scrive: "Una volta Borges ha detto che lasciava agli altri di gloriarsi dei libri che avevano scritto e che la sua gloria erano invece i libri che aveva letto".
RispondiEliminaMi ha colpito molto questa frase, perché lascia sottintendere, credo, che - al di là della scrittura - possiamo "gloriarci", seguendo Borges, dei libri che abbiamo letto. Perché noi "siamo" - anche - quei libri. O meglio, quei libri sono parte di noi.
Giustissimo. Il concetto è ribadito anche dall'affermazione finale su Singer. Nel retro della copertina, è citata questa frase:
RispondiElimina"Una volta, in Cina, una studentessa dell'università di Xi'an mi ha chiesto cosa si perde scrivendo. Ardua domanda kafkiana. E leggendo?"
è una strana affermazione, per me, perché ho sempre pensato che leggendo e scrivendo si acquista, non si perde.