Benvenuti in Letteratura e dintorni!

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domenica 13 novembre 2011

LA MIA CICATRICE - di Francesca Mairani



La mia cicatrice è una linea sghemba che attraversa a destra il labbro superiore, come una riga disegnata con la matita.
Ha una storia, la mia cicatrice. Non una storia avventurosa, ma una storia.
Avevo un anno e mezzo e stavo imparando a camminare. Per farmi coraggio ero solita tenere un oggetto in mano. La mia barbie. Un cucchiaio di legno. Uno spazzolino da denti. Abbrancavo saldamente il mio feticcio e poi procedevo, fissando decisa la linea dell’orizzonte.

Quel giorno avevo scelto una chiave. La grossa chiave della cassettiera di mia nonna, con una nappa di seta gialla e bordeaux che dondolava ad ogni passo. La nappa davanti e io al seguito, procedavamo per il corridoio. Decise entrambe a vincere la forza di gravità che attirava il mio didietro al pavimento.
Con noi c’era anche un cane. Un cane che era stato di mia nonna, poi mia nonna era morta e il cane l'avevamo ereditato noi. Si chiamava Pilù; acquistato come barboncino, crescendo si era rivelato un barbone gigante, alto come un dalmata, cocciuto come un mulo, ombroso come cavallo selvaggio.
A Pilù non ero simpatica. Lui era abituato alle coccole delle anziane signore e ai pettegolezzi della donna delle pulizie. Mica alle intemperanze di una bambina. Così in genere si teneva piuttosto alla larga da me: se io entravo in una stanza lui ne usciva, se mi avvicinavo borbottava con una specie di rantolo di gola. Se tendevo la manina al folto ciuffone che gli troneggiava sulla testa, era pronto a schivare.
Ma quel giorno chissà cosa gli prese. Con un balzo mi fu alle spalle, mi appoggiò le zampe sulla schiena e mi mandò lunga distesa sul pavimento.
Sventura volle che la parte sporgente della chiave fosse rivolta alla mia bocca. E così mi ritrovai atterrata e sfregiata nel giro di pochi secondi.
Il sangue prese a zampillare e mia madre per poco non svenne, mentre mia zia rincorreva il cane con la scopa. Mio zio, l'unico che aveva mantenuto un po' di sangue freddo, mi appoggiò un fazzoletto alla bocca e mi caricò in macchina.
Io piangevo e sanguinavo. Sanguinavo e piangevo. E al pronto soccorso ci volle del bello e del buono per farmi calmare. Ma alla fine tutto si risolse. Io ci guadagnai un cerotto sulle labbra. Pilù una pedata nel sedere. E la chiave, con la sua nappina, finì dentro un cassetto, da cui non è più uscita.
Il segno sulle labbra fu piuttosto evidente, all’inizio. Poi piano piano sbiadì e si trasformò in questa cicatrice. Che si vede poco, in realtà. Si nota solo quando rido. Ma mi fa ricordare che anche un innocuo barboncino può trasformarsi in un’arma letale. 

1 commento:

  1. Mi piace la figura della chiave chiusa per sempre nel cassetto. Non so perchè, mi piace e basta. Bella storia..

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