Sentivo di avere
pochi minuti, forse secondi, mentre l'umidità mi avvolgeva. Se è vero che ogni
battaglia si risolve in attimi, sarei stato sciocco a non tenerne conto.
Lo scudo, troppo
pesante, cadde di taglio nel terriccio, lasciando un profondo solco verticale,
dal quale, ora giurerei, parve uscire del sangue caldo e denso. Il ginocchio
sinistro cedette, affondando, poi, proprio in quel taglio Mi acquattai tra le
colonne in rovina a prendere fiato, i muscoli tesi delle cosce fletterono e
avvertii una scossa piacevole alla spina dorsale. Forse mi stavo liberando del
peso maggiore: l'umana speranza, perché questo era il prezzo dello sfidare gli
dei, scontavo la condanna di essere in parte figlio loro e in parte figlio di
un pescatore. Constatai che le mie risorse erano al minimo, soprattutto dopo
l'ultima marcia fino all'Ade, in cui avevo perso i migliori compagni.
L'antro
rifletteva la pietrificata disperazione dei vivi e di quelli che lo furono
mentre le sensazioni diventavano materiali, come lo era la delusione di una
donna, abbandonata da Poseidone, uccisa e tramutata in Gorgone. Il dolore di
Medusa fluttuava in lamenti, impercettibili, che scorticavano l'udito, non percepivo
speranza in quell'aria e, per la prima volta, ripensai alla profezia delle
streghe: non sarei tornato al mondo dei vivi, non avevo monete per il
traghettatore nella mia borsa.
La
consapevolezza del luogo mi suggerì di usare meno gli occhi, finora tutto il
mio mondo, ora dovevo sentire l'aria, i suoi spostamenti, i fruscii, perchè lei
era ovunque.
Mi rimisi in
piedi con uno scatto, la mano strinse la spada, era il peso del tradimento,
forgiato da mio padre nell'Olimpo, ero pronto all'attacco, che sarebbe stato
una lancia, un'azzannata. Usai lo scudo come specchio per scovare la bestia
appostata tra le colonne e le rocce umide del tempio, al suo interno la parete
rifletteva. Fasci di luce filtravano fiochi sopra la mia testa, appena
sufficienti a scorgere i profili delle statue. Per pochi secondi godetti della
sensazione di equilibrio della caccia: trovavo conforto nell'idea di due
avversari, impegnati a non soccombere,
animati dall'unico scopo di fermare il cuore dell'altro. In questa arte non
esisteva il compromesso, la pietà, l'inganno, c'era solo l'attimo.
Ad un tratto
notai il brivido di un bagliore nello scudo, lei si stava lanciando dal
soffitto in una parabola ad arco, velocissima, saettava a pochi metri alle mie
spalle. Riuscii a scansarmi di un centimetro e frustò accanto a me la sua lunga
coda di serpente che mi lacerò la carne all'interno del braccio sinistro.
Sangue caldo scendeva sul gomito, mentre realizzai che non c'era umanità nel
suo movimento, come se aria, materia e sostanza le fossero estranei. Non
avvertii dolore, avevo troppa adrenalina in corpo e, per un istante, la vidi di
spalle, davanti a me. Una elaborata corazza a squame color madreperla, parte
integrante del suo corpo, si irraggiava dal centro della schiena fin attorno alle
spalle. Giuro che non la notai voltarsi, ma era già di fronte, innaturale. Feci
la mia mossa, mi abbassai e con il possente scudo la caricai con tutta la forza
delle gambe, colpendola forte al corpo, per farla retrocedere, ma non si mosse
di un palmo. Era solida, parte integrante della caverna che la ospitava, e
capii che la dannazione le aveva donato risorse illimitate. Provai ammirazione
per il suo essere la più dotata seppure l'unica mortale tra le sorelle Gorgoni.
Nello scontro diretto non c'era speranza, ammisi, per cui retrocedendo ripiegai
tra le colonne, correvo veloce,
ferendomi i talloni tra gli speroni in
selce, mentre la sua furia esplodeva e si gettava alla mia rincorsa, non udii
alcun suono, né grido; il silenzio era la sua arma più inquietante, ed era
inoltre oggettivamente troppo veloce. Scattai sotto un masso e mi ci
accovacciai a riccio. Lei si innalzò, meccanica, sopra di me, nell'alto della
caverna, per poi schiantarsi sul mio corpo di ossa e tendini, io badavo bene a
tenere sempre lo scudo tra noi, e la lama, pronta a scattare subito dietro,
come l'aculeo dello scorpione. Si buttò sullo scudo, l'urto fu portentoso, una
mandria di cavalli selvatici, ma l'ira l'aveva resa per un attimo avventata.
Riuscii a contenerne la forza e a farla scivolare di lato sfruttando il tempo
morto, bloccai il suo corpo nell'asperità tra due rocce aguzze puntellandomi
con lo scudo e appoggiando la schiena a un masso, e infersi un unico colpo
lungo. Mirai alla gola, tenera, umana, e la lama entrò sicura, per metà della
sua lunghezza, sopra la corazza del petto, mentre due fiotti di sangue nero
sgorgavano dalla testa, uno velenoso, l'altro con il potere di ridonare la
vita. Ci fu un rumore secco di stacco e vidi la testa cadere all'indietro. Le
serpi non si placarono, contorcendosi cercavano di azzannarmi più di prima. La
testa non morì e la chiusi in una sacca di cuoio, sempre senza poterne vedere
gli occhi, che, dentro di me, sentivo essere bellissimi.
Mi accorsi solo
ora di aver ucciso qualcosa di veramente umano, e mi piombò addosso una
stanchezza infinita e sentii di aver perso qualcosa di me. A nulla era valsa la
fredda giustizia degli dei e della nobile Atena, che, quella notte, guidò la
mia mano.
Come ho già avuto modo di dirti personalmente, trovo questo racconto molto potente: un inizio efficacissimo e uno sviluppo "sul filo del rasoio"... la cosa che mi ha colpito di più è questa attualizzazione e interiorizzazione del mito, che di solito ci appare freddo e lontano nelle raffigurazioni classiche e qui invece tu racconti e vivi in prima persona. Complimenti, mi è piaciuto molto!
RispondiEliminaconcordo con Lorella.
RispondiEliminabellissimo racconto Matteo!
avevo scritto un commento molto più esteso, ma è scomparso.
rimangono i complimenti, davvero
manuela
sanguinario e visionario, ti costringe a immaginare la scena per la ricchezza di dettagli, profondo per entrare nelle pieghe dell'anima dei personaggi. goog job!
RispondiEliminap.s. mi ricordava qualcosa del mitico Alberto e dei suoi folli racconti.
Un bellissimo racconto. E trovo che la scelta del linguaggio sia perfetta per la tematica.
RispondiEliminaBravo Matteo! :)
Grazie a tutti, ho solo voluto pensare a quanto sangue, lacrime e terrore possano esserci dietro un mito trito e ritrito. La patina del tempo non deve ingannare.
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