Incontrarsi è
casuale, l'ho sempre pensato, eppure a volte intuisco una logica
dietro una coincidenza.
Stavo leggendo un
libro seduto su una panchina, pausa tra due appuntamenti, alle 19:00
di un giovedì estivo. Avevo scelto un luogo appartato, un parco
ancora in sistemazione in attesa dell'inaugurazione, un breve
tracciato di ghiaia, disarmonica linea obliqua tra un parcheggio e le
vecchie mura della città. Davanti a me solo panchine, lampioni,
arredi urbani nuovi, inesorabilmente danneggiati dai perdigiorno del
centro storico più per disprezzo che per l'urgenza di lanciare un
messaggio. Chinai il capo e a terra, lattine di birra e mozziconi
indicavano baldoria la sera precedente o qualcosa del genere.
Stavo attraversando
un momento di trascurabile angoscia, favorito anche dal libro,
l'ennesimo bestseller, lontano dal proporre qualcosa di interessante,
diciamo che si girava intorno al colpo di scena da oltre duecento
pagine. Osservando al di là della recinzione a rete in plastica
arancione, scorgevo auto a spina di pesce, parevano quasi abbandonate
da mesi.
In questi momenti
tutto costituisce distrazione e, con la coda dell'occhio, controllavo
un pachistano calvo sui quaranta, che si rinfrescava i piedi nudi in
una fontanella lontanissima. Poi lo persi di vista e sparì. Mi
rimisi nella lettura, mancava ancora mezz'ora al mio impegno, e vidi
la ragazza, camminava seguita da un cagnolino che si trascinava al
guinzaglio. Lui si fermava, annusava, tentava di alzare la zampina e
lei, con lo sguardo altrove, lo strattonava, sollevandolo dal suolo.
Portava una canottiera e un paio di mini pantaloni verde militare,
scarpe da tennis bianche leggere, Superga, consumate e logore, alla
moda. La mia prima impressione fu quella di centinaia di ragazzine
ravennati col cagnolino, paghetta o stipendio part time, unica
preoccupazione controllare l'I-Phone più spesso possibile. Tornai al
libro, ma poi la testa si voltò nuovamente verso lei, uno scatto
meccanico. Si stava avvicinando ed ebbi modo di notare dei dettagli
prima trascurati: gli occhi erano veramente grandi e verdi, non era
truccata, (punto a suo favore) e possedeva una struttura fisica molto
esile e longilinea.
I capelli, castani,
lunghi, le scendevano setosi sulla spalla sinistra. il colorito era
pallido, nonostante il periodo caldo, e sulla coscia batteva
ritmicamente una minuscola borsa in pelle marrone, dalla lunga
tracolla, indispensabile per cellulare, sigarette e poco altro. Nel
complesso ebbi l'inspiegabile sensazione che stesse vivendo un brutto
momento, ma forse ero solo io a riflettermi in lei.
Eccola a meno di
cinque metri, la mia attenzione, ora praticamente totale, mi fece
notare il numero di nei sulle braccia e sul viso, tutti nel punto
giusto, non stonavano. Sebbene l'avessi etichettata solo "carina"
ora dovevo ammettere che era davvero bella ed anche immensamente
sola.
Il momento in cui mi
passò davanti mi permise di fotografarne il profilo, contro l'ultimo
sole, mi stupii per come la mia visione di quel passaggio era mutata
nell'arco di cinque secondi. Una sconosciuta con un irrilevante
cagnolino che tagliava il parco era stata la presenza più gradevole
della mia giornata. Ormai la vedevo di spalle, apprezzai delle
inflessioni, dei rallentamenti nella sua andatura, mi piacque pensare
di essere il responsabile di quel tentennamento, forse il mio sguardo
le aveva fatto perdere un po' di quella finta sicurezza
adolescenziale. Non ci furono contatti tra noi, neppure uno e lei
continuò a seguire il sentiero di ghiaia biancastra, poi si immise
nel parcheggio, abbassandosi per poter passare sotto la recinzione in
plastica, che in quel punto era stata abbattuta, scorciatoia verso
il parcheggio.
Pensai alle
"passanti" di De Andrè, ma anche a quel “Piccolo
Autogrill” di Guccini, sorrisi e chiusi il libro, pagina 215,
sapevo che non lo avrei più riaperto.
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