i racconti della domenica |
L’appartamento di Marta era al terzo piano in una piccola palazzina di un quartiere residenziale poco distante dal centro. Aveva scelto la zona proprio perché le era sempre piaciuto il centro storico e nel tempo usava sempre meno l’automobile. In quel modo era come avere tutto a portata di mano. All’inizio era stato un po’ difficile, il mutuo era un vero salasso anche se i suoi genitori le avevano dato una mano. Per quell’unica brava figlia qualunque cosa!
Da due anni aveva trovato un lavoro vicino a casa. Faceva la segretaria in un centro estetico molto alla moda. A volte si sentiva fuori luogo tra tutte quelle signore preoccupate di stirare le rughe, di sciogliere la cellulite, tonificare ogni parte del corpo ed eliminare tutto quello che non le facesse splendere sempre. Il suo ruolo era veramente marginale, era di presenza piacevole senza eccessi, spesso aveva creduto di essere trasparente agli occhi dei clienti se non per rispondere al telefono, accoglierli indicando loro in quale stanza magica avrebbero dovuto accomodarsi, e per prendere nuovi appuntamenti. Preparava anche profumate tisane dai mille poteri depurativi, migliorativi, lenitivi, lassativi….
Spesso la chiamavano Cara, o Tesoro, anche Un amore di ragazza, e lei aveva cominciato a immaginare che nessuno si ricordasse il suo nome e usassero questi stratagemmi per non fare brutte figure. Marta si faceva scivolare tutto un po’ addosso, tutta quella frivolezza un po’ l’annoiava, ma era talmente felice di questo lavoro vicino a casa, raggiungibile a piedi, che si impegnava per non deludere le aspettative dei datori di lavoro e per risultare gentile con i clienti.
Tutto andava bene, la vita era stata sempre prudentemente generosa con lei, mai troppi sacrifici, mai troppa gioia, una serenità e una pacatezza da morta.
Così dentro Marta diventava sempre un po’ più fatalista e rassegnata, nessuno se ne accorgeva perché nessuno la guardava un po’ più a lungo negli occhi. Aveva occhi color caffè che non truccava mai molto e labbra sottolineate con lucidalabbra da ragazzina, i capelli lisci di mezza lunghezza erano sempre in ordine, veramente un amore di ragazza, come dicevano le signore nelle loro nuvole di profumo di alghe, sali, fanghi….
Leggeva molto Marta, partecipava a dei gruppi di lettura, quasi sempre ascoltava, si divertiva ed era un modo per conoscere persone che non parlassero solo di aspetto fisico e di personaggi televisivi. Attraverso il gruppo di lettura riusciva ad aver una vita sociale piena che bilanciava la monotonia dell’ambiente di lavoro.
Dal gruppo di lettura si era formato un gruppo di cinema
ed uno di teatro e poi ancora uno di musica. Tutti questi impegni si concentravano nei fine settimana, così a Marta rimanevano tante serate da godere da sola nel suo appartamento. Leggeva molto anche per essere preparata agli appuntamenti dei gruppi di lettura, aveva una poltrona preferita dove riusciva ad accoccolarsi per un momento di grande intimità con quello che stava leggendo, la lampada anni cinquanta le proiettava luce diretta, sul tavolino una tazza di tisana, unica cosa che portava in casa dal lavoro, e quando si sentiva intirizzita aveva una leggera coperta di lana lavorata a mano dalla madre che la scaldava.
Marta era serena e dentro si sentiva una vecchia zitella. Sul lavoro diceva single, ma dentro di sé sapeva che era sola.
Ascoltava musica classica mentre leggeva, o comunque musica senza parole perché non si sovrapponessero a quelle del libro che aveva in mano.
Quella sera il libro che stava leggendo era noioso, Marta si era addormentata sui violini di Vivaldi e delle sue “Quattro stagioni”.
La sveglia di soprassalto il rumore di pioggia fitta sui vetri. Si alza dalla poltrona, raccoglie il libro da terra, avvolgendosi intorno la coperta della madre per scaldarsi, spegne la luce della lampada e si avvicina alla finestra. C’è un muro di pioggia grigia fuori che le luci della notte rendono pesante. Marta spera che l’indomani mattina piova ancora, adora camminare con gli stivali di gomma. Comincia ad abbassare le tapparelle per andare a dormire, è già abbastanza tardi. Si dilunga a guardare tutta quell’acqua che rovesciata dall’altro scorre sulla strada quasi come un fiume straordinario. Passano delle auto in fretta e le luci bianche dei fanali tagliano con coni di luce la trasparenza dell’acqua che con la medesima intensità scende con prepotenza.
Una di queste auto si ferma sul lato del marciapiede di fronte alla sua palazzina. Esattamente sotto un lampione. L ‘auto è color caffè latte, che sotto tutta quella pioggia bianca e fitta, diventa color fango. Marta osserva, stringendosi nella sua coperta. Aspetta che qualcuno scenda.
Passano i minuti e non succede niente, nera la strada diventata un letto di fiume, gialla la luce della strada, buio nell’abitacolo. Marta immagina che qualcuno stia aspettando che spiova, eppure l’auto non le sembra appartenere a nessuno dei suoi vicini. La sua innata riservatezza le fa accostare la tenda del salotto e andare a prepararsi per dormire. Nel buio del suo appartamento evita di accendere luci forti e compie tutte le operazioni in penombra.
Mentre si spazzola i capelli come una donna d’altri tempi, come le eroine dei libri che conosce, si domanda chi ci sarà nell’auto, ma subito si risponde che, nonostante la pioggia, chiunque ci sia dentro sarà uscito.
Quando si sveglia l’indomani alle otto precise Marta trova un cielo di piombo che le pesa negli occhi guardando fuori dalla finestra. Non piove più, peccato. Tutte le sue operazioni sono ripetitive, compresa una telefonata alla madre per un saluto, per sapere come avessero trascorso la notte i genitori e sentirsi augurare buona giornata.
Proprio mentre è al telefono guardando distrattamente dalla finestra del salotto vede l’auto color caffè latte parcheggiata sotto il lampione che non si è ancora spento è una mattina buia. Strizzando un po’ gli occhi si accorge che sotto il tergicristallo c’è un foglietto, bianco, le sembra.
Normalmente Marta scende alle otto e quarantacinque, impiega esattamente dieci minuti per arrivare al lavoro. Alle nove meno cinque apre il centro, comincia a preparare il caffè per soci titolari e le estetiste, l’acqua nel bollitore delle tisane, accende il computer. Verso le nove e mezzo
cominciano le prime telefonate e i primi appuntamenti.
Tutto ciò normalmente, ma quella mattina Marta alle otto e trentacinque è già in strada, invece di avviarsi sul marciapiede come ogni mattina attraversa la strada e si avvicina all’auto color caffè latte.
Si tratta di una vecchia auto mal messa, con ammaccature nella carrozzeria già arrugginite, la targa
è straniera non si può indovinare la provincia.
I vetri sono tutti appannati, non si vede niente dentro. Il
foglietto è ancora lì, sotto il tergicristallo, è bagnato e la scritta si è tutta sbavata.
Marta lo prende c’è scritto A I U T O
Si guarda intorno, non c’è nessuno, pochi rumori, qualche finestra che si apre. Nessun auto che passa. Mette la mano alla maniglia della portiera che si apre. Esce solo del calore di finta pelle nera come gli interni. Sbircia dentro, non c’è nessuno, guarda il foglietto e si siede al posto del guidatore. Istintivamente va con la mano all’accensione e trova le chiavi, gira e mette in moto.
Mentre è ancora ferma il motore al minimo la fa sobbalzare lievemente sul sedile. Cerca la manopola della ventola per poter spannare i vetri, la trova lì un po’ in basso sulla destra e un vento freddo odoroso di polvere le fa sbattere gli occhi e tossire. Un po’ alla volta la mezzaluna di vetro chiaro si fa sempre più grande e il cielo di piombo entra nell’abitacolo dell’auto.
Marta guarda l’orologio sono le nove meno cinque….
Spegne l’auto, sta pensando di uscire di correre verso il centro, mentre sul vetro cominciano a cadere rumorose gocce di pioggia pesanti come il piombo di cielo da dove vengono. E’ indecisa e spaventata, le tremano un po’ le mani ma anche le ginocchia - Allora andiamo! – le esce di bocca come rispondesse, ma nessuno la
sente, solo l’abitacolo vuoto fa un lievissimo eco che
finge una seconda voce.
Ingrana la prima, aziona la ticchettante freccia, si
immette in strada dirigendosi verso la periferia. Non riesce subito a trovare la levetta del tergicristallo e sta piovendo forte. Per un attimo è tutto deformato dall’acqua che scorre. La linea della carreggiata non è più dritta ma ondeggia e a guardarla bene fa venire il mal di mare, i contorni delle altre auto che incontra sono sbavati dall’acqua.
Come se Marta fosse ubriaca, ma fortunatamente il tergicristallo la rende sobria come un buon caffè caldo.
Sta guidando da un’ora.
E’ uscita anche dalla periferia e comincia la campagna, le colline nere di terra rivolta fanno sembrare il cielo più chiaro e leggero. Ha anche smesso di piovere solo qualche gocciolina ogni tanto, le vecchie spazzole del tergicristallo strisciano ancora sul vetro, a Marta le sembra che le si strofini il viso fino a farlo arrossare.
Le mani serrate al volante in posizione “dieci e dieci” hanno le nocche arrossate prova a distenderle e un odore di sudore di plastica le pizzica il naso.
Prova ad appoggiare la schiena tutta, al sedile, a distendere le spalle che aveva tenuto strette e contratte e un piacevole calore la percorre fino alle gambe.
Ora ha smesso di piovere completamente, le viene incontro un orizzonte timidamente azzurro. Abbassa un poco il finestrino e l’aria ancora umida le bagna la bocca. La strada che sta percorrendo è un saliscendi di colline con qualche casa sparsa qua e là. Ci sono alberi verdi lavati e brillanti e altri dai tronchi neri e lucidi e spogli. Nell’affrontare le salite la vecchia auto color caffellatte tossisce e scalando la marcia per aiutarla Marta percepisce il suo affanno e le scappa una carezza di incoraggiamento.
Dopo un po’ le colline si spianano, l’azzurro diventa intenso sui frutteti che dormono stanchi in inverno.
“dove sto andando?” si chiede Marta, la attraversa il pensiero dei suoi vecchi genitori che staranno in pena, lo stupore di tutte le clienti nel non vederla al suo posto questa mattina, il disappunto dei datori di lavoro…
Vede il suo piede destro alleggerire la pressione sul pedale dell’acceleratore, l’indicatore del contachilometri scendere lentamente….Torna indietro?
In quel momento dallo spiraglio del finestrino aperto entra l’odore del mare che le fa sbattere gli occhi e la risacca è già nelle sue orecchie. Mentre era distratta sulla sua vita piena di banalità, abitudini tranquille, mentre l’auto sussultava perché distratta non aveva scalato la marcia era uscito un bel sole. Caldo attraverso il vetro asciuga tutte le sue perplessità.
A Marta le scappa da ridere, non ha gli occhiali da sole. Potrebbe non essere così importante, è da tanto che ha voglia di lasciarsi riscaldare.
Scappa però un raggio dispettoso e le fa uno strano riflesso, uno specchio accecante che le fa ronzare le orecchie e chiudere gli occhi……
Quando si sveglia Marta si accorge d’essere caduta dal letto.
Sono le sette, come ogni mattina è a casa sua.
La giornata non è buia, anzi c’è un bel chiarore.
“ho sognato!” pensa delusa, intanto meccanica e metodica i suoi gesti si ripetono come sempre. Anche la telefonata ai genitori.
Scende alle otto e quarantacinque e un intrepido sole ha cominciato ad asciugare i marciapiedi. Infila la mano in tasca per cercare gli occhiali scuri, sente un leggero cerchio alla testa, ma trova un biglietto bianco stropicciato, con una scritta tutta sbavata G R A Z I E
Vedo che nessuno ha commentato il tuo racconto, evidentemente ci hai lasciati un po' spiazzati con questa che è senz'altro una bella trama per un racconto fantastico (non fantasy, proprio fantastico: l'unheimlich, l'inspiegabile, l'inquietante...).
RispondiEliminaSe posso fare un appunto, forse la prima parte è troppo "spiegata". Secondo me sarebbe stato sufficiente raccontare la vita monotona della protagonista, senza le riflessioni (Per quell’unica brava figlia qualunque cosa!; oppure: Attraverso il gruppo di lettura riusciva ad aver una vita sociale piena che bilanciava la monotonia dell’ambiente di lavoro.).
Bella l'espressione: "sul lavoro si diceva single, ma dentro di sè sapeva che era sola".
Concordo in pieno con Lorella: anche secondo me, la prima parte è un po' troppo descrittiva e questo "assorbe" l'effetto spiazzante del finale.
RispondiEliminaE' il finale, infatti, che motiva l'intera storia e la rende interessante, ma - anche se è bello l'effetto sorpresa che crea - a mio parere andrebbe un po' preparato.
manuela
Mi sono presa tempo prima di commentare perché ho voluto leggere il racconto più di una volta.
RispondiEliminaTutte le volte arrivo alla fine con una sensazione di confusione. La storia è bella e ricca di spunti felici, purtroppo si perdono nell'eccesso di "spiegazione". Se non sbaglio ne abbiamo già parlato una volta, comunque quando leggo i tuoi racconti ho come la percezione che tu abbia sempre paura di non essere capita, pertanto spieghi... spieghi...
In questo modo però appesantisci il racconto e blocchi l'azione, di conseguenza la lettura.
E' come se tu girassi attorno a quello che vuoi dire senza mai affrontarlo direttamente. Questo, secondo me, non dipende dal fatto che non ne sei capace, piuttosto ritengo sia una forma di pudore che ti impedisce di essere più incisiva nel tuo modo di raccontare, soprattutto quando si tratta di analizzare sentimenti. Va bene essere "soft" però al dunque occorre arrivarci prima o poi.
Mi sono accorta che è più facile postare i propri racconti piuttosto che i commenti ai racconti altrui :-). L'assenza di quelle forme di comunicazione "non verbale" che ci aiutano quando ci parliamo guardandoci negli occhi, rende tutto più difficile e si ha sempre paura di essere fraintesi.
Barbara
Capisco la tua preoccupazione, Barbara, ma personalmente penso che le osservazioni che emergono dai commenti siano di grande aiuto a chi scrive: a me personalmente interessa molto sapere che effetto fa un mio testo sui potenziali lettori.
RispondiEliminaNaturalmente questo non significa che l'autore debba prendere per oro colato tutto quello che scriviamo, che in fondo è semplicemente un'impressione personale di ciascuno di noi; l'autore può decidere che le osservazioni sono giuste, oppure pensare che chi ha letto non ha capito le sue intenzioni, è naturalmente libero di accettare o respingere le critiche, ma un confronto è sempre utile.
A volte certi modi di scrivere ci vengono spontanei e solo dalle osservazioni degli altri siamo spinti a riflettere su di essi, altre volte li abbiamo pensati e possiamo spiegare perché abbiamo scelto proprio quello stile... tutto questo aiuta, secondo me, sia chi scrive sia chi commenta a capire un pochino di più la letteratura... o no?