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Università aperta Giulietta Masina e Federico Fellini ha sede a Rimini e si occupa da anni di educazione permamente per un pubblico vasto e variegato per età, inclinazioni e interessi. Questo blog è dedicato in particolare a tutti coloro che frequentano, hanno frequentato o vorrebbero frequentare i nostri corsi di scrittura ma anche a tutti coloro che amano leggere, scrivere, confrontarsi su argomenti letterari.


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martedì 2 novembre 2010

La scrittura autobiografica (riflessioni di Lorella)

Gironzolando nel web in cerca di e-book da scaricare sul mio e-reader, mi sono imbattuta in molte pubblicazioni di autori sconosciuti ed ho osservato che, spesso, si tratta di testi autobiografici. Sembra che chi comincia a scrivere abbia urgenza di scrivere di sé. Mi sembra che questo sia un tratto caratteristico della nostra epoca, che anche per molti altri aspetti è connotata da un individualismo esasperato. Tuttavia, nella mia passeggiata solitaria sul web, mi si è affacciato un dubbio: siamo proprio sicuri che l'autobiografia sia la strada giusta per la letteratura?
Se penso ai grandi capolavori del passato mi sembra che le autobiografie siano nettamente in minoranza e che vengano incluse nelle storie della letteratura solo quando trascendono il semplice racconto della vita dell'autore, per mostrarci il quadro di un'epoca o per raccontarci eventi particolarmente significativi.
Se l'urgenza di scrivere nasce dalla necessità di raccontarsi, forse è sufficiente scrivere un diario personale; d'altra parte, la letteratura è sempre un tentativo di raccontarsi, ma attraverso storie che nascono nella nostra mente.
Ogni autore si rispecchia in qualche modo nei suoi personaggi, per certi aspetti, ma allo stesso tempo se ne distacca quanto basta per dar loro un aspetto credibile e, per così dire, una vita autonoma (Pirandello docet). Non sarà che la smania di autobiografia è anche sintomo di mancanza di creatività?
O, in altri termini, quanto distacco è necessario tra l'autore e la sua opera perché quest'ultima possa appartenere alla letteratura e non, semplicemente, allo sfogo personale?

7 commenti:

  1. Sono completamente d'accordo con Lorella e azzardo un'ipotesi (mutuata in parte da Emanuele Trevi, ascoltato la settimana scorsa negli incontri di "Biblioterapia", in biblioteca).
    Trevi sostiene che in passato i lettori si identificavano nei personaggi dei libri che leggevano, personaggi che spesso sognavano una vita diversa da quella che avevano. L'esempio è ovviamente quello di Madame Bovary.
    Oggi, dice Trevi, l'oggetto del desiderio del lettore non è più il personaggio del libro, ma lo scrittore.

    Partendo da qui, azzardo la mia ipotesi. Se è vero che il sogno di tantissimi lettori oggi è di diventare scrittori, è ovvio che abbiamo a che fare con persone che non possiedono il talento necessario per scrivere romanzi degni di questo nome. Lasciando da parte il discorso stilistico (su cui ci sarebbe molto da dire), questi autori contemporanei sono carenti anche di idee. Con la conseguenza scontata che - se non si sa dove andare a pescare per scrivere una storia - si guarda alla propria vita. E quindi il boom delle autobiografie.

    Tornando agli scrittori veri, come dice Lorella, "ogni autore si rispecchia in qualche modo nei suoi personaggi, per certi aspetti, ma allo stesso tempo se ne distacca quanto basta per dar loro un aspetto credibile e, per così dire, una vita autonoma". A questo proposito mi viene in mente una battuta di Piero Meldini che, durante una intervista in cui gli era stato chiesto quando c'era di autobiografico nel protagonista di un suo romanzo (non ricordo quale), rispose: "C'è qualcosa di me in ciascuno dei personaggi del mio libro, anche nel cane".

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  2. Personalmente, data la mia formazione, ho sempre in mente, quando parlo di romanzi, prima di tutto il Manzoni e mi sembra che in ogni suo personaggio ci sia un qualche aspetto della sua vita e della sua personalità, per come l'abbiamo conosciuta nelle storie della letteratura. Così il romanzo illumina la vita dell'autore e la storia dell'autore aiuta a comprendere le sfumature del romanzo. Tuttavia, essendo un vero grande romanzo, lo si potrebbe leggere anche senza sapere assolutamente nulla dell'autore, perché ciascun personaggio ha una sua vita propria.
    Io credo che questo odierno concentrarsi su di sè sia anche un fenomeno sociale, prima ancora che letterario, che denota l'incapacità di uscire dal proprio ego, di pensarsi "altri", che diventa, in fondo, un appiattimento ad una sola dimensione fisica e spazio- temporale. Ma se il pensiero, soprattutto quello creativo, non serve a superare questi limiti, che senso può ancora avere la scrittura? Diventa semplicemente un modo per lasciar traccia di sè, come fanno i bambini piccoli col pennarello sul muro.

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  3. Quando leggo un libro, un romanzo, leggo una storia e mi piace pensare, mi piace credere che sia una storia inventata. Non aggiunge, anzi toglie, all'incanto della lettura sapere che quello di cui mi si parla è storia dell'autore. Non amo le biografie in generale, non amo le fedeli ricostruzioni se non sono imbastardite dall'invenzione, dalla finzione, dalla bugia che me le rende vere. Così dopo che ho letto un libro che mi piaciuto, se qualcuno mi dice "guarda che è la sua vita, guarda che è tutto vero" un po' ci rimango male. Dov'è la magia? dov'è il mondo altro dove la lettura mi conduce? Per essere sedotta da una storia la devo trovare incredibile, nel senso difficile da credere, ma credibile.
    Per quanto riguarda la scrittura trovo anche io piuttosto noioso che chi comincia a scrivere comincia con il parlare di sè, il romanzo della propria vita. Ogni vita è un romanzo, e a questo ci credo, anche quella apparentemente più semplice. Ma mi piacerebbe che lo scrittore parlasse dell'incredibile vita di una sua vicina, di un suo compagno di banco, dell'impiegata alla posta ecc. piuttosto che celebrare la sua.

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  4. Vi racconto cosa mi è capitato qualche settimana fa. Parlo con una mia conoscente e le dico che mi piace molto scrivere, che scrivo dei raccontini, delle cose molto leggere ma che a me danno una grande soddisfazione. "Ma davvero?" mi risponde lei "Pensa che anche io, in passato, avevo pensato di scrivere la mia autobiografia. Prima o poi mi ci metterò dietro".
    Ma anche no, ho pensato. Naturalmente non le ho detto nulla, perchè è una persona gentile e piacevole, e chi sono io per criticare i sogni di chicchessia? Ne ho già da pensare ai miei, che spesso sono ancora più campati per aria. :)
    Una delle cose che ho imparato, scrivendo leggendo e frequentando corsi di scrittura, è che quello che è interessante per noi non è detto che lo sia anche per gli altri. Anzi, spesso non lo è affatto.
    Io è da quando ho 18 anni che tengo un diario... ma non mi è mai passato per l'anticamera del cervello di ammorbare parenti e amici con le mie masturbazioni mentali. La mia vita interessa me perchè l'ho vissuta... ma perchè dovrebbe fregare qualcosa a qualcuno di quando mi incavolavo in ufficio o del primo rigurgito di mio figlio?
    Diverso è attingere dalla propria esperienza personale per elaborare idee che possono - non devono, possono! - finire per recuperare una certa universalità. In quel caso, però, secondo me sono tante le componenti che entrano in gioco. E come dice Stella, si può finire per raccontare l'incredibile storia della propria vicina di casa, che forse così incredibile non è, ma con un po' di fantasia e di passione si può rendere tale. :)

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  5. Non vi sembra di aver buttato tutto in un unico calderone? Non necessariamente l'autobiografia è solamente il sintomo di uno sfrenato individualismo. Ho letto "Una storia di amore e di tenebra" di Amos Oz e "Case, amori e universi" di Fosco Maraini; si tratta di due libri autobiografici dove l'elaborazione del vissuto è tale e le storie talmente ricche, da rendere i libri avvincenti come romanzi. Infatti è restrittivo definirle autobiografie. Ma in questo caso stiamo parlando di due Scrittori (la maiuscola non è a caso). Inoltre non dimentichiamoci che i resoconti di viaggi, le lettere, e si tratta di frammenti autobiografici, sono tra i primi documenti scritti dell'antichità.
    Un discorso a parte merita quella che potremmo chiamare "scrittura terapeutica", vale a dire il bisogno di scrivere per mettere ordine nella propria vita. Certo in questo caso basterebbe il diario, poi se qualcuno pensa che la propria vita possa essere interessante anche per gli altri basta vedere la gente cosa va a raccontare in televisione. Forse in una società dove non basta più essere persone ma occorre necessariamente essere qualcuno, magari è soltanto un modo come un altro per provare ad emergere. Di conseguenza non soltanto "appaio quindi sono" ma anche "scrivo quindi esisto". Chissà.

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  6. Hai ragione Barbara, anche secondo me c'è stata un po' di confusione. Diciamo che le Biografie con la lettera maiuscola indubbiamente possono essere interessanti. Ma le Biografie non sono quello che fanno gli scrittori (spesso esordienti) che hanno la pretesa di considerare la loro vita interessnte come un romanzo. E non è neppure la stessa cosa usare le proprie esperienze personali per fare degli esercizi di scrittura che non hanno la pretesa di essere Letteratura. Personalmente non amo le biografie, raramente ne sono stata affascinata e comunque erano sempre casi di scrittura più vicina al romanzo che alle vicende storiche di un tale personaggio. Ancora meno mi appasionano le autobiografie. Che dire poi degli scrittori esordienti di cui parlava Lorella che molto spesso raccontano solo di sè? Era pensando a questi ultimi che avevo fatto l'esempio che era meglio a volte raccontare la vita di una vicina di casa piuttosto che la propria, anche per un gesto di umiltà, credo. (non sono sicura d'aver fatto chiarezza nel calderone!)

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  7. Sono d'accordo con Stella. Le biografie sono interessanti se, innanzi tutto, raccontano vite interessanti e le vite di ciascuno di noi, spesso, sono interessanti per chi le vive, ma molto meno per gli altri. Poi, le grandi biografie, o autobiografie, diventano in realtà interessanti perché trascendono la vita privata e vanno a toccare quell'universale umano a cui dovrebbe tendere la produzione letteraria.
    Poi, scrivere diari o anche testi terapeutici va benissimo, a patto che non li si scambi per letteratura.

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