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sabato 30 ottobre 2010

Tiziano Rossi e Patrizia Valduga

L'interessante lezione di Cristian Conti di martedì scorso, a proposito della metrica tradizionale e della sua "riscoperta" nella poesia del Novecento, si è conclusa con un accenno di dibattito sui due autori presentati. Tiziano Rossi e Patrizia Valduga. Confesso che li conoscevo ben poco entrambi ed ho trovato interessanti anche gli interventi dei corsisti. Mi piacerebbe approfondire anche qui il discorso.

Io, personalmente, facendo riferimento alle poesie della dispensa proposta da Cristian, trovo che la Valduga sia sicuramente più "teatrale" e più di effetto ad una prima lettura, ma rileggendo Rossi ho avuto l'impressione che la sua poesia sia più moderna per quanto riguarda la ricerca linguistica. La Valduga scrive poesie che per me hanno chiari richiami letterari, giocando con le parole come hanno fatto i grandi del Seicento: le allitterazioni, gli ossimori, le tematiche stesse (vita e morte, sensualità) mi fanno pensare a qualcosa che ho già letto. Anche la poesia X del requiem mi suona molto pascoliana (pensate alle poesie di Miricae dedicate al giorno dei morti o simili). Si tratta di un tipo di poesia che a me piace molto, ma, come ho detto, mi suona già familiare.
Rossi, invece, che ad una prima lettura mi era piaciuto meno, mi costringe ad uscire dal già noto e mi spinge ad una riflessione linguistica attraverso un uso particolare del lessico; trovo che il verso "con la matita trabiccola traccia" sia una cosa fantastica: sembra che il suono di "trabiccola" stesse ronzando nelle orecchie del poeta, avesse fatto capolino nelle "t" di matita, per poi esplodere nell'invenzione linguistica della parola centrale e infine lasciare un'eco nel suono di "traccia".
Che ne pensate?

5 commenti:

  1. Non ho partecipato alla lezione di Cristian e quindi mi limito a un commento molto superficiale. Anch'io trovo la Valduga molto "teatrale", e piuttosto irritante in questo suo atteggiamento personale e poetico.
    Non conoscevo Tiziano Rossi e ho fatto una piccola ricerca su internet. Non ho trovato il verso citato da Lorella (bella l'interpretazione del suono ronzante nelle orecchie che poi esplode).
    Ho trovato invece dei versi di poesia "quotidiana" se così si può definire e del resto mi pare che illustri critici abbiano proprio notato questo di lui. Ossia che tratta temi quotidiani anche con un linguaggio, mi pare, quotidiano, più prosastico rispetto a quello della Valduga.
    Ripeto, le mie sono semplici sensazioni, e sul linguaggio non ho la preparazione per fare interventi profondi.
    Mi limito a incollare qua sotto l'inizio di una poesia "Stanza", di Rossi ovviamente, che mi ha colpito per la sua apparente semplicità:

    Quatte le nevi si avvicinavano
    e rovente la stufa nell'angolo bolliva,
    tua madre il violino sognante suonava,
    tuo padre - che tutto ammirava - a quelle belle
    arance sulla tavola esclamava: "che rosso!".
    E c'era lo zio Pino così grosso che ridendo
    nel corridoio cascava, e più non si levava;
    e tu chino su storti disegni, i pensierini
    di gennaio o i re di Francia. Era
    in questa maniera che combaciava la sera.

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  2. Mentre la poesia di Valduga, già ad una prima lettura, ha un forte impatto emotivo, quella di Tiziano Rossi necessita forse di più letture per riuscire a cogliere la bellezza di parole che non "evocano" ma "dicono" realtà fissate nella concretezza della quotidianità.
    Nella poesia di Rossi la parola basta a se stessa.
    Di Valduga ho letto "Requiem" e "Quartine. Seconda Centuria". La raccolta che preferisco è "Requiem" perché le poesie - seppur ispirate da una esperienza forte, di dolore: la malattia e la morte del padre - sono più crude e meno teatrali delle altre, dove l'effetto spiazzante è un po' troppo costruito e cercato.
    Tiziano Rossi non lo conoscevo ed è stata una piacevolissima scoperta. Ho apprezzato molto la ricerca e l'invenzione linguistica. Il suo è un volo basso (come dice lui) sulla quotidianità, sulla realtà delle "cose". Il linguaggio rende benissimo la sobrietà dei sentimenti più veri, nettamente in contrasto con l'enfasi di Valduga. La quotidianità che diventa poesia ci fa ritornare a Giudici, precedentemente trattato, e al suo lavoro di recupero del cosiddetto "parlato". Invece la violenza di certi versi di Valduga, e qui azzardo, forse ci riporta a Pasolini, da cui siamo partiti, a quella violenza primordiale, talmente connaturata all'istinto di sopravvivenza, e quindi all'uomo, dalla quale è difficile prescindere.

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  3. Io confesso, con vergogna, la mia ignoranza. Non conoscevo nessuna poesia degli autori dell'ultima lezione. Probabilmente avevo sentito il nome della Valduga, senza peraltro averla mai vista. Quindi sto con quello che Cristian ha spiegato.
    Tiziano Rossi arriva dopo, dopo un paio di letture, dopo l'attenzione che bisogna porre alle parole, dopo un po' di silenzio che segue la lettura delle poesie, come se si avesse bisogno di una pausa per farle risuonare.
    Patrizia Valduga colpisce in maniera più immediata, la scelta dei temi forti (sesso e morte) è sicuramente più diretta, anche l'ossessione della metrica rende più facile la lettura perchè c'è l'aiuto musicale reso appunto dalla metrica.
    Non mi interessa molto il fatto che la Valduga si senta poeta e si atteggi da poeta e declami come un'invasata le sue poesie. Questo è un aspetto che mi lascia indifferente, saranno poi i lettori a esprimere, come stiamo facendo noi, quello che le poesie hanno lasciato o hanno seminato dentro ciascuno di noi.

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  4. Se si parla di ignoranza, anche io ho da dire la mia... visto che per scelta non ho mai frequentato la poesia, dopo la scuola. E' il corso di Christian (a cui mi sono iscritta più per insistenza di un'amica che per reale interesse) che mi sta piano piano avvicinando a questa forma di espressione. Che, lo ammetto, mi sta facendo seriamente rimpiangere tutto il tempo sprecato a pensare "tanto non ci capirò mai nulla!".
    Non credo che il nocciolo della questione sia "rossi" contro "valduga". Le loro tematiche sono così distanti che, secondo me, sono imparagonabili. Ciò che li unisce è solo un certo gusto nell'utilizzo di strutture poetiche similari... ma per il resto, come si faceva notare sopra, sono più le diversità, fra questi autori, che le similitudini.
    Io credo ci sia "spazio" per entrambi gli autori ed i generi di poesia, nella vita e nella sensibilità di un lettore.
    Valduga è elegantissima, sensuale, quasi sacrale nella "profanità" dei suoi temi. Di lei mi piace il suo sentirsi libera di scrivere ciò che le aggrada... fosse anche una serie di sconcezze. Ma sempre all'interno di quella "scatola dorata" che è la struttura precisa alla sillaba con cui confeziona le sue opere.
    Di Tiziano Rossi mi piace il suo parlare della vita come di un'esperienza corale. Bellissime le poesia sui vecchi lette durante il corso di Christian. E quelle sull'adolescenza, dove una certa "vaghezza" del testo è rimando preciso alla vaghezza di quell'età.
    Due autori da approfondire entrambi... almeno per me. :)

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  5. Mi sembra che Rossi, in ogni suo componimento, sia attratto da un particolare elemento linguistico, da una suggestione fonica, intorno alla quale costruisce tutto il resto. Ad esempio, nella poesia citata da Manuela, c'è un fantastico gioco di rime interne, che contraddicono l'apparente assenza di rima a fine verso. Non so com'è, ma prima del senso delle parole in lui mi colpisce proprio l'attenzione alla lingua, tanto più sorprendente in un autore all'apparenza così prosastico.

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