Pubblicare un libro è il sogno di quasi tutte le persone che scrivono, ma l'impresa è tutt'altro che facile.
Arrivare agli editori "veri" (Mondadori, Einaudi, Adelphi, Feltrinelli, solo per citare i più grossi e famosi) significa avere pazienza (gli editori spesso non rispondono a chi invia i manoscritti, e se lo fanno succede dopo molti mesi) e anche un pizzico di fortuna. Molte persone decidono quindi di pubblicare il libro a proprie spese.
C'è chi guarda con sufficienza questa scelta, giudicando un libro pubblicato a proprie spese solo un altarino al narcisismo dell'autore. Personalmente credo che pubblicare pagando sia "farsi un regalo": invece di comprare un vestito firmato si pubblica il proprio libro (il costo è abbastanza simile).
Su questi argomenti si è parlato spesso col gruppo di scrittura e anche con i docenti. Se torno sul tema è solo perché ho chiesto a Lorella di postare sul blog due notizie relative a corsisti di Università Aperta che hanno fatto questa scelta.
Visto che siamo in un paese (ancora) libero, penso non ci sia nulla di male nel pubblicarsi un libro a proprie spese. Quello che però trovo veramente irritante è l’atteggiamento di chi pensa che per pubblicare con gli editori veri “bisogna farsi raccomandare” e che “anche molti grandi scrittori sono stati rifiutati e hanno pubblicato a proprie spese”.
E’ verissimo che alcuni scrittori bravi e famosi non sono stati capiti dagli editori e quindi hanno dovuto pagarsi le pubblicazioni. Ma non sono molti, sono le eccezioni. Di regola gli editori “veri” pubblicano opere di buona qualità (più o meno) e se decidono di non pubblicare qualcosa lo fanno perché il manoscritto non merita la pubblicazione.
Secondo, per arrivare ai grandi editori bisogna “farsi raccomandare”. Non è vero. Più semplicemente, bisogna trovarsi un agente, ossia una persona che di mestiere tiene i contatti tra le case editrici e gli autori. Si può anche provare a mandare il manoscritto in lettura direttamente all’editore. Quante persone che sostengono che “ci vuole la raccomandazione” hanno spedito il proprio scritto all’editore? Quasi nessuno. Ci si basa sul sentito dire e su – spiace dirlo, ma è così – la convinzione di avere scritto un’opera d’arte che il mondo non capisce. E qui arriviamo al narcisismo dell’autore (talvolta presente in quantità industriale).
Mi fermo qui, l’argomento meriterebbe ampio dibattito. Se ne avete voglia, come sempre, il blog è per tutti.
Benvenuti in Letteratura e dintorni!
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Interessante argomento di discussione; personalmente sono d'accordo su molti punti:
RispondiElimina1. quando si viene scartati da qualcosa (pubblicazione, concorso o altro) si ha sempre la tendenza a pensare che ci sia qualche tipo di malafede da parte di chi ci ha giudicati, perché è molto più facile che ammettere di non essere stati all'altezza di quanto richiesto.
2. non trovo niente di male nell'autopubblicazione, che può essere, come dice Manuela, un regalo a se stessi (il piacere di vedere sul proprio scaffale un libro con il proprio nome, perché no?) o un modo per provare ad autopromuoversi (anche i grandi critici sbagliano a volte quando giudicano e magari può succedere che vengano scartate opere di valore)
Sono d'accordo, sostanzialmente, con quanto dice Manuela. Aggiungo che credo anche che non si possa fare - come del resto nella maggior parte delle cose - una regola generale. Possono essere diverse, infatti le ragioni che spingono una persona a pensare di pubbblicare un proprio lavoro, come diverse possono essere le ragioni che portano un editore a decidere di pubblicare o no il lavoro di un autore.
RispondiEliminaNel mio caso è accaduto che scritta la prima versione del romanzo l'ho inviata ad alcuni editori - sempre uno dopo l'altro. Regolarmente è stata respinta. Parlo di molti anni fa, infatti la prima versione credo che risalga (dovrei andare a vedere in cantina i vecchi dischi da 5 pollici del mio vecchio apple) alla fine degli anni ottanta.
Così è accaduto che ho rimesso tutto nel cassetto, poi ci ho rimesso mano, ho rimesso di nuovo tutto nel cassetto, poi vi ho rimesso nuovamente mano, inviando l'esito del mio lavoro ad un sito dedicato agli scrittori esordienti. Questo passaggio mi è stato molto utile in quanto ho iniziato ad avere i primi commenti, le prime considerazioni, i primi consigli. Cosa diversa dalle risposte asettiche delle case editrici.
Poi sono venuti i corsi di scrittura (momenti che mai dimenticherò anche se in questo momento mi è difficile pensare di frequentarli - per diverse ragioni)quelli di università aperta ed uno on line della De Agostini. E con questi le considerazioni di carattere tecnico che certamente mi mancavano.
Fatta quella che credevo l'ultima stesura l'ho inviato nuovamente ad una importante casa editrice, che dopo tanti anni mi ha risposto stizzita che il mio lavoro era già stato valutato, senza neanche farsi venire in mente che dopo tanto tempo avrei potuto averlo riscritto completamente (senza l'astuzia di cambiare il titolo). Questo anche a dimostrazione che probabilmente hanno una scelta amplissima di candidati scrittori esordienti e non è loro necessario guardare troppo per il sottile.
In ogni caso circa un anno fa mi sono rivolto alla casa editrice Albatros, dopo aver fatto una ricerca su precedenti esperienze di altri con questa casa editrice (sempre molto utile il sito "Il rifugio degli esordienti" di cui ho parlato prima. Trovando, peraltro, anche notizie e considerazioni non troppo entusiasmanti da parte di altri su internet.
Dopo l'invio ho ricevuto una proposta editoriale alla quale non ho neanche risposto. Mi chiedevano una cifra di circa 2.300 euro. Dopo qualche mese mi hanno telefonato ed ho risposto che proprio la cosa non mi interessava. Ci siamo lasciati con il mio interlocutore che mi diceva che avrebbe parleto con un suo responsabile e mi avrebbe richiamato. Dopo circa una settimana mi hanno richiamato proponendomi una cifra inferiore alla metà della prima proposta. Mi sono preso qualche giorno, ho fatto le mie considerazioni (sono responsabile dell'ufficio acquisti della società presso la quale lavoro e conosco il costo delle cose) e quando mi sono reso conto che quello che mi chiedevano non copriva i costi di quello che mi offrivano - segreteria, editing, grafico, stampa, spedizione - ho accettato.
Ecco, come dicevo, non credo si possa generalizzare. Il mio scopo era quello di esprimere dei pensieri e delle idee. E per farlo ho pensato di utilizzare una storia che ho scritto e messo dentro un libro che è stato stampato e pubblicato. Sono contento così, non desidero luci, applausi, complimenti (anche se non mi dispiacciono). Di una cosa però sono sicuro: se fosse stato pubblicato come era la prima volta che, emozionato, l'ho inviato alla prima casa editrice sarebbe stato un'altra cosa, diverso, meno compiuto. Infatti mi sono dovuto scusare più volte con l'addetta all'editing, per le aggiunte, modifiche, correzioni che ho fatto quando il lavoro era già nelle sue mani per la sua revisione finale.
Oh... perbacco! Ho fatto un'altro romanzo!
Ciao a tutti
Paolo Grossi
Grazie, Paolo, per il tuo intervento. ci hai raccontato il percorso reale di uno scrittore e credo che tu ci abbia fornito tanti suggerimenti operativi. Fatti vivo più spesso sul nostro blog!
RispondiEliminaSono molto contenta di avere la possibilità di esprimere la mia opinione su un argomento che mi sta molto a cuore.
RispondiEliminaPrima di raccontare la mia esperienza ringrazio Manuela, Lorella e Paolo per avere dato il via alle danze su quello che per me è ed è stato un dubbio amletico.
A luglio di due anni fa un amico, che conosceva il mio amore viscerale per la scrittura, mi spedì un sms con l’indirizzo web della casa editrice Il Filo, conosciuta oggi come Gruppo Albatros.
Avevo in mano un’accozzaglia di racconti, riflessioni e mezzi brani non finiti che mi sembrava impossibile potessero piacere a qualcuno. Con il tempo ho capito di essere molto critica verso me stessa e che forse Marco – il mio amico - aveva visto qualcosa di buono in quei pezzi di carta scritta. Comunque, spronata da lui, lavorai sodo per più di venti giorni ed un giorno prima della scadenza spedii tutto, con la segreta speranza che venisse accettato ma con la chiara consapevolezza che non sarebbe successo.
Immaginatevi la mia sorpresa quando il 19 settembre mi vidi recapitare una busta, anzi no, un plico contenente una lettera, un accordo di edizione e un opuscolo con la presentazione della casa editrice.
Lessi con attenzione la lettera e l’accordo, che ovviamente prevedeva la mia partecipazione alle spese di pubblicazione.
Ci ho messo molto a decidermi se accettare o meno, ho cercato informazioni, mi sono documentata ed alla fine ho deciso, da sola.
Ho fatto un po’ come ha detto Manuela, anzi l’ho visto come un investimento per la realizzazione di un mio desiderio. Ho fatto un’analisi della mia vita e delle mie scelte, ed ho fatto finta di essermi regalata un viaggio da sogno.
Sei mesi dopo ho accettato e dopo altri quattro mesi il mio libro era nato.
Il viaggio è stato stupendo. La collaborazione con il mio editor e tutto il lavoro legato alla grafica e alla revisione finale sono stati i momenti più belli, quasi più di tutto quello che è avvenuto dopo: presentazioni, pubblicità, ecc.
Nel frattempo ho conosciuto Università Aperta ed ho iniziato un percorso personale di formazione per crescere e migliorarmi come “scrittrice”, oltre ad avere incontrato moltissime amiche splendide.
Ancora faccio fatica e non riesco a definirmi tale, anche se “Petali d’anima” è una realtà, anche se la mia opera è stato giudicata da una giuria di esperti ed arrivata nei primi dieci finalisti ad un concorso letterario.
Giudico positiva l’esperienza e come si dice “se tornassi indietro lo rifarei”.
La mia prima opera è il risultato di anni di lavoro interiore ed è il coronamento della mia maturazione come donna.
A conti fatti reputo non avere fatto un errore scegliendo un editore che ha chiesto la mia partecipazione ai costi, anche se oggi ho deciso di fare scelte diverse.
Ho spedito un altro lavoro a diverse case editrici, e l’approccio è stato più o meno lo stesso. “Bellissimo il tuo lavoro” ma per pubblicare ci vogliono soldi.
Nonostante sia molto contenta della mia prima esperienza, oggi ho deciso di scegliere altre strade.
Penso che ogni momento della vita porti con sé un bagaglio di scelte che sono quelle più giuste. E questo momento per me significa, attendere e guardarmi attorno per vedere cosa la vita mi offre e cercare di prendere decisioni che sono più in sintonia con me in questo periodo della mia vita.
Pubblicare un libro a proprie spese è una scelta come un'altra e se qualcuno se la sente di rischiare è giusto che lo faccia. Visto che calciatori e personaggi televisivi pubblicano libri con molta facilità (chiara operazione di marketing per loro e di incassi sicuri per le case editrici) perché "l'uomo della strada" dovrebbe farsi tanti scrupoli?
RispondiEliminaQuello che mi chiedo è: il "fai da te" su quali canali di distribuzione può fare affidamento? A parte il passaparola, quindi parenti e amici. Riguardo alla presunta qualità letteraria di ciò che viene pubblicato dalle case editrici, beh, ci sarebbe molto da dire. Comunque basta entrare in una libreria per rendersi conto che la qualità spesso lascia a desiderare. Sicuramente le grosse case editrici possono contare su professionalità in grado di trasformare un abbozzo di storia in una bella storia, se l'investimento si presenta proficuo, quindi il libro vendibile.
Forse in questo momento sono proprio le piccole case editrici quelle che hanno più coraggio e puntano maggiormente sulla qualità.
Concordo con l'assunto di base: pubblicare a proprie spese è una scelta assolutamente personale, dettata dalle più diverse motivazioni. Paolo e Roberta ne sono un esempio, e li ringrazio per aver condiviso con noi le loro esperienze.
RispondiEliminaQuello che mi sconcerta un po', è la presenza di case editrici che non precisano dall'inizio che è necessario un impegno economico da parte dell'autore. Fanno promesse che poi non mantengono. E - come fa notare Barbara giustamente - distribuiscono poco e male prodotti che alla fine si rivelano poco curati.
E' successo recentemente ad una mia conoscente. All'inizio l'accordo di pubblicazione non prevedeva alcun versamento da parte dell'autrice. Poi, improvvisamente, sono saltate fuori un sacco di spese a cui lei è stata chiamata a collaborare. La distribuzione è stata praticamente inesistente: ha dovuto lei contattare librai suoi amici, per fare arrivare loro copie del suo libro. Infine, contrariamente a quanto inizialmente pattuito, non vi sono state copie per lei... e quelle che ha voluto regalare a parenti e amici le ha dovuto acquistare.
Forse lei è stata ingenua. Forse sfortunata. Sta di fatto che, quando si tratta di pubblicare, credo sia necessario fare molta, molta attenzione.
Appunto perchè viviamo ancora in libertà di opinione e di scelta volevo dire non condivido la scelta di pubblicare a pagamento. A dire il vero non condivido neppure la politica economica di una casa editrice che non si accolla nessun rischio di impresa, che non crede negli autori che pubblica mettendo a rischio il proprio capitale e investendo nella distribuzione, nella promozione. Che imprenditore sei? Magari io la faccio semplice? Sicuramente, ma sono normodotata e se qualcuno mi spiega penso di riuscire a capire. L'impressione che ne ho è che ci sono due gruppi di persone: quelle che scrivono e sono moltissime e scrivono di tutto spaziando dalla buona qualità alle stupidaggini, il secondo gruppo: quelli che hanno detto "perchè non tiriamo su dei soldi da tutta questa gente che vuole vedere il proprio nome su una copertina di un libro?" Giusto per fare i conti della serva, sono quasi sicura che se facessero pagare cento euro ad ognuno si arricchirebbero ugualmente. Un po' come dire ci sono degli sprovveduti e ci sono quelli che ne approfittano. Per questo ho molta diffidenza nei confronti delle case editrici a pagamento.
RispondiEliminaLa mia esperienza? Avevo 23 anni, già ero affetta dal morbo della scrittura, scrivevo prevalentemente poesie, prevalentemente d'amore, d'altra parte avevo 23 anni! Un amico raccoglie i miei testi e li spedisce ad una casa editrice che su una rivista pubblicizzava il servizio agli esordienti. Mi rispondono con una proposta di contratto, mi chiedevano CINQUEMILIONIDILIRE! senza neanche avermi visto in faccia, senza una telefonata di presentazione. Naturalmente non avevo la cifra e anche se avrei avuto dei sostenitori che mi avrebbero finanziato, ho lasciato perdere. Non mi sono sentita presa sul serio, mi sono sentita solo una che compra una cosa. Ma siamo sicuri che pubblicare un libro sia proprio come acquistare una borsa di LuisWitton? Forse nella forma, ma io mi ostino a pensare che nella sostanza sia molto diverso. Quindi non pubblico a pagamento.
Stella.
Devo dire che il ragionamento di Stella ha un senso e credo che bisognerebbe distinguere le forme di pubblicazione a pagamento: se io desidero vedere il mio nome stampato su un testo, oppure sono certa di aver scritto un capolavoro che però non viene compreso dalle case editrici, posso decidere di investire dei soldi per auto- pubblicarmi; nel caso in cui, invece, una casa editrice mi dice che il mio lavoro può essere interessante e vendibile, sarebbe plausibile che non dovessi spendere soldi per la pubblicazione.
RispondiEliminaLa differenza sta nel fatto che io, come singolo scrittore inesperto di marketing, posso non avere il polso del mercato, mentre la casa editrice sicuramente può fare delle previsioni attendibili e quindi correre, come dice Stella, il rischio d'impresa.
Proviamo a trasferire la situazione in un altro settore: dal punto di vista commerciale, sarebbe come se una fabbrica di automobili, di fronte al nuovo modello progettato dall'ingegnere, proponesse all'ingegnere stesso di pagarne in parte i costi di fabbricazione. Non sono esperta di automobili, ma non credo che funzioni così.
Credo che le ragioni che spingono una persona a vedere pubblicato un proprio lavoro possano essere le più diverse. Per cui non credo che si debba sindacare su questo.
RispondiEliminaD'accordo, invece, che si debba fare molta attenzione a chi ci si rivolge per pubblicare un proprio lavoro, proprio in funzione della ragione che ognuno può avere.
Infatti, dove girano i soldi si può trovare di tutto. E non credo che ci sia bisogno di fare esempi. Non penso, però, che si debba essere troppo rigidi e fiscali con gli altri e neanche con noi stessi. Una volta individuato il proprio obbiettivo è necessario essere un po' pratici. Le grandi case editrici hanno una scelta tanto vasta di gente che si propone da non dover guardare troppo per il sottile.
Tra l'altro a loro basta pubblicare uno dei tanti buoni autori che capiteranno, promuoverlo adeguatamente, creare un bel caso letterario e fare impresa.
Oltre a fare impresa possono anche affermare che non è vero affatto che non si preoccupano degli esordienti, tanto è vero che li pubblicano.
Ma in ogni caso il prodotto deve essere "vendibile".
Come la mettiamo se uno ritiene di aver scritto qualche cosa di interessante ma che potrebbe non avere tutto questo mercato che un' "impresa" ritiene indispensabile per muoversi?
Cosa fa? Rinuncia a dire la sua oppure accetta di pubblicare con una casa editriche che chiede un contributo in modo da abbassare i costi di produzione e sperare, nella quantità, di beccare anche l'autore giusto?
Anche questo è fare impresa, è solo un modo diverso. Da una parte non ci sei, dall'altra ti costa qualcosa. Pensiamo che gli altri debbano abere fiduci in noi ed investire ma noi quanta fiducia abbiamo in noi stessi?
... già finito tutto?
RispondiEliminaNo, no, la discussione è ancora aperta! Il problema sta nel convincere tutti a partecipare, perché come succede a volte nei blog, molti leggono, ma poi sono restii ad intervenire.
RispondiEliminaRiguardo al tuo ultimo post, credo che un autore abbia tutto il diritto di fare le proprie scelte, decidendo, se ritiene opportuno, anche di pubblicare con una casa editrice a pagamento. Questo non fa cadere, a mio parere, l'obiezione di Stella, nel senso che una casa editrice dovrebbe, come una qualunque altra impresa, essere in grado di calcolare costi e benefici, rischio d'impresa ecc. Credo che il problema nasca dal fatto che,inevitabilmente, si intrecciano due piani (le "convergenze parallele", come si diceva anni fa in politica): da un lato l'esigenza che potremmo definire "letteraria", cioè il desiderio, il bisogno dell'autore di diffondere qualcosa che ritiene abbia un intrinseco valore, e dall'altro l'esigenza economica, che per l'autore stesso di solito è secondaria, mentre per la casa editrice è inevitabilmente fondamentale.
Certamente, le esigenze sono entrambe lecite e legittime. Ma torniamo alla questione di un ipotetico autore che ritiene di avere qualche cosa da dire che potrebbe essere di un qualche interesse ma non al punto di muovere un mercato che renda imprenditorialmente opportuno procedere alla sua pubblicazione. Rimarrebbe per sempre senza voce se aspettasse di essere pubblicato da un editore imprenditore che pubblica solo ciò che fa mercato.
RispondiEliminaO no?
Senza entrare nuovamente nel merito del dibattito, mi piacerebbe sapere da te, Paolo, e anche dalla Roberta, se avete avuto riscontri con le vostre pubblicazioni.
RispondiEliminaIntendo dire, recensioni su blog, commenti da parte di persone che hanno letto il vostro libro ecc.
Da parte mia l'unica cosa pubblica è stato il riferimento che il prof. Antonio Montanari ha fotto su un suo intervento sul "Ponte" intitolato "Marchionne, la Cina e la Gallina Elena" dove citava un personaggio del mio libro.
RispondiEliminaPer il resto dovrei aspettare o "sollecitare" la presentazione del mio libro presso la mia città ed in un altro luogo, cosa contrattualmente prevista... ma non lo sto facendo, anzi, credo che la cosa mi metterebbe in un certo disagio, per cui la sto quasi evitando.
Sono un po' combattuto. Da un lato, certamente mi piacerebbe che del mio libro si parlasse, d'altro canto, però, credo già di sentirmi a posto. Ho scritto delle cose che a mio avviso esprimono la mia visione. Punto.
Approfitto anche per aggiungere che non mi sento affatto uno scrittore ma solo uno che, come detto, ha fissato delle cose, dei pensieri con una storia su un libro.
Aggiungo una cosa in qualche modo attinente. Una volta ho sentito Aldo Busi dire in modo molto sensato: una persona non è un muratore, un falegname, un avvocato ma fa il muratore, il falegname, l'avvocato. Non siete d'accordo?
Mancava una cosa: Il mio libro è uscito da poco e per il momento mi sono limitato a consegnare alcune copie ad amici e parenti per saggiarne le impressioni.
RispondiEliminaConfesso di essere abbastanza soddisfatto. Mi è stato detto che la storia scorre bene e che si legge in modo piacevole, che i dialoghi sono buoni e chi più e chi meno, senza alcun indizio da parte mia, ha girato vicino al vero senso da me inteso.
Certo, per qualcuno l'ambientazione "zoologica" è stato un qualche cosa da superare psicologicamente, ma poi una volta fatto tutto, a quanto pare, è andato bene.
Allora molto provocatoriamente chiedo a Paolo e anche a Roberta, ma soprattutto a Paolo, che differenza fa pubblicare con una casa editrice a pagamento o pagare una tipografia per vedersi stampare il proprio libro? Paolo ha detto che non si sente "scrittore", non investe neppure il suo tempo per fare una promozione vera del libro che vada al di là dei poveri parenti e amici che ci vogliono troppo bene e non ci voglio veder soffrire! Pubblicare un libro nel mio immaginario è fare un salto, diventare qualcos'altro, almeno crederci fortemente nello stare diventando qualcosa di diverso. Proporrei una possibilità di commento anonima per tutti quelli che pubblicano con le case editrici a pagamento, secondo me forse verrebbe fuori un pensiero che non si ha, per educazione, la capacità di formulare sinceramente. D'altra parte anche per chi "fa" lo scrittore davvero è difficile digerire i commenti negativi. Per gli esordienti, secondo me, lo è ancora di più perchè si è più fragili e allo stesso tempo più abbagliati da sè stessi e dal proprio talento. Sono antipatica, lo so, ma sull'argomento secondo me c'è un velo di ipocrisia che se fossimo adulti dovremmo togliere.
RispondiEliminaStella
Nel mio immaginario la stella era un puntino luminoso nel buio della notte, la stella del mattino, le molte stelle della notte stellata... ma mi era sfuggita l'immagine.
RispondiEliminaStella quella di mare con le punte appuntite che, appunto, pungono... ahi, ahi, ahi
... bene, bene, bene
Credo che si debba partire, innanzitutto, dal provare a rispondere ad una domanda: perché scriviamo?
RispondiEliminaOgnuno potrà avere la sua risposta, naturalmente.
Generalmente le considerazioni che si fanno sono che proprio nell'essere sociale dell'uomo risiede il desiderio, o meglio, l'esigenza, di condividere, di comunicare, di rendere noto e condivisibile la propria esperienza, le proprie considerazioni, il proprio "bagaglio".
Per fare questo ci avvaliamo della nostra capacità, o meglio, di nuovo, dell'esigenza, di sintetizzare quello che accade intorno a noi, quello che ci riguarda. Di prendere singoli fatti associandoli per farne una storia. Che ha un senso in quanto storia ed un senso che, talvolta, travalica la stessa storia per raggiungere o cogliere un senso più ampio con riferimenti o rimandi.
Quindi, credo, la scrittura è una delle forme più efficaci di mettere in fila le cose, di metterle in comune fino a creare quello che è il pensiero comune ( o, talvolta, interromperlo o stravolgerlo).
Inoltre questo mettere in fila le cose per taluni ha un senso anche "terapeutico" dal momento che aiuta a comprendere meglio quello che ci accade e che ci circonda e come tutto questo intimamente lo vive ognuno di noi (nei modi così diversi quale risultato della propria sensibilità).
In questo, come detto già precedentemente, ognuno di noi trova il senso da dare al proprio scrivere.
(se qualcuno pensa l'abbia presa troppo per le lunghe o che mi dia delle arie con questi ragionamenti, confermo di sentirmi, e di essere certo di essere, sempre lo stesso "pataca".
Sto solo cercando di mettere in fila un ragionamento per rispondere in modo adeguato alle pungenti punture di Stella Marina di mare appuntita)
Secondo me siamo partiti con una digressione che non ha molto a che fare con il tema della pubblicazione. Se pubblichiamo, in noi siamo riusciti già a fare chiarezza sulle motivazioni alla scrittura, sempre che in questo argomento sia possibile fare chiarezza. Propongo quindi di tornare al discorso iniziale. Pubblicazione a pagamento? No, secondo me, no ad oltranza anche se ho scritto il capolavoro del millennio, no perchè le mie idee che mi sembrano così importanti non diventano più importanti se qualcuno, che non sono io, ci tira su dei soldi, no perchè se le storie che scrivo non interessano ad un editore, se un editore non ci vuole investire forse non sono storie interessanti, o non così interessanti. Oppure sì alla pubblicazione a pagamento perchè mi faccio un regalo, perchè aumento la mia autostima (diminuendo lo spessore del portafoglio), perchè si vive una volta sola e chè cacchio!, perchè cosi glielo faccio vedere io a tutti quelli che dicevano che ero una mezza calzetta...
RispondiEliminaPossiamo andare avanti quanto volete, ma la domanda è pubblicare a pagamento sì o no? Senza che chi dice sì voglia convincere chi dice no e viceversa!
Posso lanciare una nuova domanda: ma veramente, onestamente, agli scrittori che hanno pubblicato pagando poco importa la distribuzione del proprio libro, le presentazioni del proprio libro, le recensioni sui giornali del proprio libro, l'essere letto nei gruppi di lettura, organizzare dei reading?
Ma allora, scusate cosa avete pubblicato a fare?
(e non ho detto cosa scrivete a fare?)
Stella.
buongiorno a tutti. premetto che non sono la franz, ma suo marito, federico.
RispondiEliminascrivo un commento anche io perche' quello della scrittura a pagamento e' stato fonte di grandi discussioni in famiglia, nonostante siamo abbastanza d'accordo.
in sostanza: sono assolutamente contrario alle pubblicazioni a pagamento. ma non ho nulla contro chi decide di farlo, sia ben inteso. come si diceva qualche post prima, siamo in un paese (relativamente) libero, quindi ognuno puo' dire e fare quello che vuole.
ma il mio ragionamento e' questo: al di la' delle motivazioni per le quali si scrive, perche' partecipare ad un concorso? (se non ho capito male, almeno una volta avete partecipato tutti/tutte ad un qualche concorso). probabilmente il motivo principale e' vedere il vostro nome accanto alla scritta "primo premio". quindi dovrebbe essere la stessa cosa con una pubblicazione: la soddisfazione di vedere il vostro nome in copertina. secondo me pubblicare a pagamento in questo modo diventa come barare mentre si gioca ad un solitario. che senso ha vincere quando si sa gia' che si arrivera' primi o sapendo di essere l'unico partecipante? altro discorso e' una stampa in proprio o una rilegatura in varie copie di un proprio lavoro: qui tutto il lavoro e' stato fatto in proprio e lo stampatore o il rilegatore fanno solo l'ultimo passo, ovvero aggiungere una copertina.
quindi ribadisco il mio no alle pubblicazioni a pagamento, in qualsiasi forma.
federico
D’accordo sul principio che trovare un editore che ti pubblica ed uno che ti chiede soldi per farlo siano due cose molto diverse.
RispondiEliminaCome diverso è trovare un editore che ti chiede di contribuire al costo di pubblicazione ed uno che ti chiede la somma dei costi che lui sostiene più quel che ci deve guadagnare in un’operazione economica per lui è già conclusa con la consegna a te delle copie stampate. E, ripeto, in mezzo a tutto questo ci sono un’infinità di variabili. Come un’infinità di variabili, di intenti, di soggetti si trovano dove girano soldi.
Ovviamente, come più volte detto, ognuno è libero di fare ciò che crede.
Nel mio primo intervento al riguardo ho precisato che a fronte di una prima offerta editoriale da me rifiutata, proprio per le considerazioni fatte, ne è arrivata un’altra che richiedeva un mio parziale contributo che proprio “contributo” a parziale copertura dei costi di pubblicazione era e non a pagamento della stessa. Per me, come vedo per diversi altri, è stato determinante capire che l’editore un minimo di fiducia in quel che stavamo andando a pubblicare vi era. Mi rimarrà sempre il dubbio di che cosa sarebbe successo se avessi cestinato anche la seconda offerta. Mi avrebbero richiamato proponendomi di pubblicarmi senza alcun mio contributo? Loro si sarebbero dimenticati di me ed io di loro? Non so.
Un’altra precisazione vorrei fare: io non ho detto affatto che a me non piacerebbe il successo del mio libro ma solo che la pubblica presentazione da parte mia è una cosa che mi metterebbe in un certo disagio. E’ una cosa mia personale, tutto qua.
Detto questo, mi sembra importante precisare che non riesco proprio a pensare che le lo scrivere ed il pubblicare siano cose disgiunte. A meno che uno non scriva per sé stesso.
Non solo, in diversi interventi ho percepito netta l’impressione che l’atto della pubblicazione sia inteso come un momento di passaggio quasi sacro, come se prima si fosse una cosa e dopo se ne diventasse un’altra, una nuova: “uno scrittore”.
Non sono d’accordo. E per questa ragione la mia non è stata una digressione ma l’inizio di un ragionamento sulle motivazioni che hanno determinato la mia scelta, sulle ragioni che per me ci sono nell’atto di produrre un qualche cosa che, in qualche modo, parli di noi ma destinato “agli altri” e sulle modalità da me scelte per farlo.
Precedentemente ho affermato che la scrittura è uno dei modi più efficaci per mettere in comune le cose, un mettere in comune che fa radicalmente parte della nostra natura. E noi, che abbiamo in comune proprio questa passione di questo siamo certamente ben consapevoli.
Il mettere in comune riguarda le esperienze, le passioni, i desideri, le propria storia, i propri pensieri,
Per quanto mi riguarda non vi erano interessi particolari da mettere in comune, per me di particolare vi era soprattutto una cosa, la più importante: l’esistenza.
In modo molto sintetico, e con una immagine abbastanza banale, direi che mi sono sentito come uno che si sveglia su un treno che sta andando e dopo qualche momento di disorientamento si accorge che nessuno sa da dove sia partito e dove sia diretto. Di questo qualcuno se ne cura, qualcun altro no, altri giocano a carte. Altri ancora affermano, ma senza riuscire a provarlo, di sapere come stanno le cose.
Comunque, sia pur senza sapere il perché, mi sono ritrovato in viaggio e dai viaggiatori sono rimasto ora affascinato, ora infastidito, ora incuriosito, ora deluso. E fra i viaggiatori che hanno destato in me questi sentimenti, ad un certo punto, mi sono accorto di annoverare anche me stesso.
In ogni caso, la cosa centrale che a me interessava era questa: si può continuare il viaggio senza saperne, senza conoscerne il perché?
Beh, per me, e per molto tempo, questo è stato un problema. D’altra parte non mi sembra che sia una questione lieve. Anche se spesso mi sono domandato se in realtà chiedersi il perché di sé stessi non sia dovuto ad una specie di corto circuito. Non so se mi spiego: da un certo punto di vista che senso ha che uno chieda a sé stesso che senso ha che lui ci sia. Forse perché prima di tutto se non ci fosse non potrebbe neanche domandarselo?
RispondiEliminaTutto questo senza prendere per buono quello che intendiamo come verità rivelate. Facendo come se non ci fossero, facendo proprio come nell’esempio del treno che ho appena fatto: uno è in viaggio, non sa perché e nessun altro può affermare di saperlo con certezza. Cosa si prova? Cosa accade? Come si fa a mettersi seduti tranquilli e magari giocare a carte con gli altri come se nulla fosse?
Questa è stata la mia idea iniziale. idea che poi ho sviluppato, come detto, in diverso tempo. All’interno di un racconto ho scritto le mie idee, le mie considerazioni. Le ho lette, corrette, rilette, corrette e preparate per la pubblicazione, la “messa in comune”.
“Mi dispiace ma il suo lavoro non rientra nei programmi della nostra casa editrice”. Questa è stata la ricorrente risposta delle case editrici interpellate. Con mia naturale delusione.
Un’altra delle cose che mi hanno deluso e sorpreso è stata la risposta di un editore: “Troppo lungo.
Tenga presente che oggi un libro come “I promessi sposi” difficilmente potrebbe trovare un editore” (???)
Comunque, ho sentito altri pareri ed ho tagliato alcune parti del mio lavoro rivedendolo più volte.
Dopo l’ultimo ritocco è giunto un parere positivo per me molto importante, da parte di una persona che ritenevo certamente qualifica e che stimavo.
Sono ripartito di nuovo con l’invio alle case editrici ottenendo, di fatto, lo stesso risultato.
Infine sono arrivato alla casa editrice che mi ha pubblicato e di cui ho detto.
Le mie considerazioni finali sono queste:
La cosa ideale certamente era quella di trovare una casa editrice – magari importante – che mi avesse pubblicato;
Questo non si è verificato ed allora cosa è successo? Io non sono più io o sono una cosa diversa da quella che pensavo prima di essere? No.
Quello che io ho scritto non ha più il valore che io credevo? No.
Ho trovato una casa editrice che mi ha pubblicato chiedendo un mio contributo nelle modalità in cui ho detto prima.
Io non sono più io il mio libro non è un granché? No.
Io sono sempre la stessa persona. Quest’anno ho compiuto cinquant’anni e sono più di trent’anni che vivo del mio lavoro. Il libro che ho scritto a me piace e credo che possa piacere e trasmettere il pensiero e le idee che mi ero proposto. Punto.
Non solo, chiuso questo capitolo ora il poco tempo che ho libero potrei dedicarlo alle altre idee, cosa che a me prima non riusciva, avendo sempre in sospeso, incompiuto un qualche cosa che non mi consentiva di concentrarmi su un lavoro nuovo.
La scrittura e la pubblicazione fanno parte di un unico processo di messa in comune delle idee e questo è il senso e la ragione del mio scrivere e desiderare pubblicare. Una volta compiuta questa azione io sono e resto quello di prima, uno che è vissuto e vivrà del proprio lavoro.
E da qualche tempo penso che l'editore non sia altro che uno dei mezzi che ci sono tra il momento in cui si scrive e quello in cui si viene letti. Nulla di più.
Solo in una cosa forse penso di aver sbagliato, ma finché c’è vita c’è speranza: quello di pensare che una volta pubblicato il libro possa essere finita là e che lui possa fare tutto da solo.
Ecco, forse su questo mi sono sbagliato.
D'accordo sul principio che trovare un editore che ti pubblica ed uno che ti chiede soldi per farlo siano due cose molto diverse.
RispondiEliminaCome diverso è trovare un editore che ti chiede di contribuire al costo di pubblicazione ed uno che ti chiede la somma dei costi che lui sostiene più quel che ci deve guadagnare in una operazione economica per lui già conclusa con la consegna a te delle copie stampate. E, ripeto, in mezzo a tutto questo ci sono un'infinità di variabili. Come un'infinità di variabili, di intenti di soggetti si trovano dove girano soldi.
Ovviamente ognuno è libero di fare ciò che crede.
Nel mio primo intervento ho precisato che a fronte di una prima offerta editoriale da me rifiutata, prorpio per le considerazioni fatte, ne è arrivata un'altra che richiedeva un mio parziale contributo. Che proprio contributo a parziale copertura dei costi di pubblicazione era e non a pagamento della stessa. Per me, come vedo per diversi altri, è stato determinante capire che l'editore un minimo di fiducia in quel che avremmo fatto insieme l'aveva ed era disposto ad investire qualcosa in quanto mi era facile capire, facendo due conti, che avrebbe speso più di quello che chiedeva a me.
Mi rimarrà sempre il dubbio di che cosa sarebbe accaduto se non avessi risposto neppure alla seconda richiesta: mi avrebbero richiamato proponendomi di pubblicarmi senza contributo? Loro si sarebbero dimenticati di me ed io di loro? Non so. So solo che avrebbe potuto anche esserci di meglio ma che, tutto sommato, accettando il ragionamento imprenditoriale dell'editore: rischiamo un po' tutti e due, tutto sommato mi sta bene come è andata.
Un'altra precisazione vorrei fare: io non ho detto affatto che che a me non piacerebbe il successo del mio libro ma solo che la pubblica presentazione da parte mia è una cosa che penso mi metterebbe a disagio. E' una cosa mia personale, tutto qua. Per il resto, più il mio libro sarà letto più sarò felice.
RispondiEliminaDetto questo mi sembra importante precisare che non riesco proprio a pensare che lo scrivere ed il pubblicare siano cose disgiunte. A meno che uno non scriva esclusivamente per sé stesso.
Non solo, in diversi interventi ho percepito netta l'impressione che l'atto della pubblicazione sia inteso come un momento di passaggio quasi sacro, come se prima si fosse una cosa e dopo se ne diventasse un'altra, una nuova: uno scrittore.
Non sono d'accordo e per questa ragione la mia non è stata una disgressione ma l'inizio di un ragionamento sulle motivazioni che hanno determinato la mia scelta, sulle ragioni che per me ci sono nell'atto di produrre qualche cosa che, in qualche modo, parli di noi ma che è destinato "agli altri" e sulle modalità scelte per farlo.
Precedentemente ho affermato che la scrittura è uno dei modi più efficaci per mettere in comune le cose, un mettere in comune che fa radicalmente parte della nostra natura. E noi, che abbiamo in comune proprio questa passione di questo siamo certamente ben consapevoli.
Il mettere in comune riguarda le nostre esperienze, le nostre passioni, i nostri desideri, la nostra storia, i nostri pensieri.
Per quanto mi riguarda non vi erano interessi particolari da mettere in comune, per me di particolare vi era sopratutto una cosa, la più importante: l'esistenza.
In modo molto sintetico, e con un'immagine abbastanza banale, mi sono sentito come uno che si sveglia su un treno che sta andando e dopo qualche momento di disorientamento si accorge che nessuno sa dove sia partito e dove sia diretto. Di questo qualcuno se ne cura, qualcun altro no, altri giocano a carte, altri chiaccherano, altri se ne stanno in silenzio per conto loro. Altri ancora affermano, ma senza riuscire a provarlo, di sapere come stanno veramente le cose.
Comunque, sia pur senza sapere il perché, mi sono ritrovato in viaggio dai viaggiatori rimanendo ora affascinato, ora infastidito, ora incuriosito, ora deluso. E fra i viaggitori che hanno destato in me questi sentimenti, ad un certo punto, mi sono accorto di annoverare anche me stesso.
In ogni caso la cosa centrale che a me interessava era questa: si può continuare il viaggio senza saperne, senza conoscerne il perché?
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RispondiEliminaPer quanto mi riguarda non vi erano interessi particolari da mettere in comune, per me di particolare vi era soprattutto una cosa, la più importante: l’esistenza.
RispondiEliminaIn modo molto sintetico, e con una immagine abbastanza banale, direi che mi sono sentito come uno che si sveglia su un treno che sta andando e dopo qualche momento di disorientamento si accorge che nessuno sa da dove sia partito e dove sia diretto. Di questo qualcuno se ne cura, qualcun altro no, altri giocano a carte. Altri ancora affermano, ma senza riuscire a provarlo, di sapere come stanno le cose.
Comunque, sia pur senza sapere il perché, mi sono ritrovato in viaggio e dai viaggiatori sono rimasto ora affascinato, ora infastidito, ora incuriosito, ora deluso. E fra i viaggiatori che hanno destato in me questi sentimenti, ad un certo punto, mi sono accorto di annoverare anche me stesso.
In ogni caso, la cosa centrale che a me interessava era questa: si può continuare il viaggio senza saperne, senza conoscerne il perché?
Beh, per me, e per molto tempo, questo è stato un problema. D’altra parte non mi sembra che sia una questione lieve. Anche se spesso mi sono domandato se in realtà chiedersi il perché di sé stessi non sia dovuto ad una specie di corto circuito. Non so se mi spiego: da un certo punto di vista che senso ha che uno chieda a sé stesso che senso ha che lui ci sia. Forse perché prima di tutto se non ci fosse non potrebbe neanche domandarselo?
Tutto questo senza prendere per buono quello che intendiamo come verità rivelate. Facendo come se non ci fossero, facendo proprio come nell’esempio del treno che ho appena fatto: uno è in viaggio, non sa perché e nessun altro può affermare di saperlo con certezza. Cosa si prova? Cosa accade? Come si fa a mettersi seduti tranquilli e magari giocare a carte con gli altri come se nulla fosse?
Questa è stata la mia idea iniziale. idea che poi ho sviluppato, come detto, in diverso tempo. All’interno di un racconto ho scritto le mie idee, le mie considerazioni. Le ho lette, corrette, rilette, corrette e preparate per la pubblicazione, la “messa in comune”.
RispondiElimina“Mi dispiace ma il suo lavoro non rientra nei programmi della nostra casa editrice”. Questa è stata la ricorrente risposta delle case editrici interpellate. Con mia naturale delusione.
Un’altra delle cose che mi hanno deluso e sorpreso è stata la risposta di un editore: “Troppo lungo.
Tenga presente che oggi un libro come “I promessi sposi” difficilmente potrebbe trovare un editore” (???)
Comunque, ho sentito altri pareri ed ho tagliato alcune parti del mio lavoro rivedendolo più volte.
Dopo l’ultimo ritocco è giunto un parere positivo per me molto importante, da parte di una persona che ritenevo certamente qualifica e che stimavo.
Sono ripartito di nuovo con l’invio alle case editrici ottenendo, di fatto, lo stesso risultato.
Infine sono arrivato alla casa editrice che mi ha pubblicato e di cui ho detto.
Le mie considerazioni finali sono queste:
RispondiEliminaLa cosa ideale certamente era quella di trovare una casa editrice – magari importante – che mi avesse pubblicato;
Questo non si è verificato ed allora cosa è successo? Io non sono più io o sono una cosa diversa da quella che pensavo prima di essere? No.
Quello che io ho scritto non ha più il valore che io credevo? No.
Ho trovato una casa editrice che mi ha pubblicato chiedendo un mio contributo nelle modalità in cui ho detto prima.
Io non sono più io il mio libro non è un granché? No. Tutto è esattamente come prima.
Io sono sempre la stessa persona. Quest’anno ho compiuto cinquant’anni e sono più di trent’anni che vivo del mio lavoro. Il libro che ho scritto a me piace e credo che possa piacere e trasmettere il pensiero e le idee che mi ero proposto. Punto.
Non solo, chiuso questo capitolo ora il poco tempo che ho libero potrei dedicarlo alle altre idee, cosa che a me prima non riusciva, avendo sempre in sospeso, incompiuto un qualche cosa che non mi consentiva di concentrarmi su un lavoro nuovo.
La scrittura e la pubblicazione fanno parte di un unico processo di messa in comune delle idee e questo è il senso e la ragione del mio scrivere e desiderare pubblicare. Una volta compiuta questa azione io sono e resto quello di prima, uno che è vissuto e vivrà del proprio lavoro.
E da qualche tempo penso che l'editore non sia altro che uno dei mezzi che ci sono tra il momento in cui si scrive e quello in cui si viene letti. Nulla di più. E' un imprneditore (trovare un editore appassionato che si sente di risciare per noi, certamente, sarebbe un sogno) che si deve confrontare con un mercato che non è detto che esprima in sé il meglio di tutto quello che la nostra passione intende per scrittura. Allora cosa facciamo? Stiamo fuori ed entriamo in gioco solo se riusciamo a coronare il sogno così e solo così come lo vogliamo noi?
Per quanto mi riguarda no! So di non aver scritto un capolavoro ma qualcosa che può meritare di essere letto. E non ho voluto che lui restasse nel cassetto ed io rimanessi "puro".
Solo in una cosa forse penso di aver sbagliato, ma finché c’è vita c’è speranza: quello di pensare che una volta pubblicato il libro possa essere finita là e che lui possa fare tutto da solo.
Ecco, forse su questo mi sono sbagliato.
Adesso sembra una questione personale. Tutti addosso a Paolo perchè ha pubblicato a pagamento! No, assolutamente, e mi dispiace molto che Roberta non abbia trovato interessante partecipare alla discussione. I punti di vista sono molteplici e variegati, così le motivazioni e le spiegazioni. Non si intende esprimere un giudizio sull'autore o sulla persona, bensì un'opinione su una scelta, su un fenomeno diffiso che essendo noi un gruppo che pratica scrittura non ci lascia indifferenti. La mia posizione può apparire rigida, ma riguarda solo quello che ho intenzione di fare io con i mei scritti, e se non troverò mai un editore che vorrà investire i suoi soldi sul mio lavoro, vorrà dire che avrò lavorato solo per me, per i miei amici, per chi mi ha letto in corso d'opera e va benissimo ugualmente, ci sono già tanti bei libri, se non sarà pubblicato il mio nessuno se ne accorgerà, neppure io, forse.
RispondiEliminaStella
scusate: c'è una parte che si ripete e sono stato un po' lunghino... brutto vizio!
RispondiEliminaPreciserei, puntigliosamente, che non ho pubblicato a pagamento ma con un contributo alle spese, che mi sembra cosa diversa.
RispondiEliminaIontre ringrazio Stella per le punte puntute che pungono dando modo anche a me stesso di riflettere in modo più approfondito e critico sulle mie medesime riflessioni e dicisioni.
Approfitto per ribadire un qualche cosa che ho già detto e che noto anche in quest'ultimo intervento di Stella: secondo me diamo troppa importanza alla valutazione di un soggetto impenditoriale, l'editore, che deve ragionare in termini di esistenza e sopravvivenza economica.
I nostri lavori sono cose diverse da prodotti confezionati per essere venduti e meritano (credo) un po' più di considerazione anche da parte nostra. E questo, se necessario, anche a costo di rinunciare un poco al nostro amor proprio o alla nostra candida genuinità.
Fino ad ora, salvo selezionate eccezioni, ho consegnato il mio libro solo a chi me ne ha fatto richiesta. Per cui non ho dovuto assistere ai commenti gentili di poveri parenti o amici pietosi. E se qualcuno di voi desiderasse leggerlo, ma non sentitevene obbligati, sarà mia cura procurare qualche copia. Ma non sentitevi obbligati a farlo.
Ecco, adesso non cominciate a spingere
... grazie Stella per avermi difeso
sono sempre federico e non la franz.. ma ormai e' quasi normale ;-)
RispondiEliminaho letto i messaggi di paolo grossi, sicuramente ha fatto delle esperienze interessanti. ma la mia opinione riguardo alla pubblicazione a pagamento non e' cambiata.
a questo proposito posto un link con il quale mi trovo molto in sintonia:
http://sandronedazieri.nova100.ilsole24ore.com/2010/02/editori-a-pagamento-come-riconoscerli-e-possibilmente-evitarli-ma-questo-sta-a-voi.html
grazie a tutti,
federico
ok, comunque anche io confermo che la mia opinione al riguardo non è cambiata.
RispondiEliminaAnzi dopo approfondita ri-riflessione dovuta a questa discussione si è rafforzata sulle motivazioni delle decisioni da me prese.
Ragazzi, mi ero scordata di iscrivermi per e-mail a questo post e non mi ero accorta dei vostri ultimi interessanti interventi. Vorrei dire alcune cose:
RispondiElimina1. Caro Paolo, io ho tutta l'intenzione di leggere il tuo libro, ma non voglio approfittare di questa casuale conoscenza telematica, quindi provvederò ad acquistarlo (magari poi, se ci vediamo un giorno personalmente, me lo puoi autografare).
2. Sono d'accordo con chi dice che la scelta va fatta di caso in caso: ogni autore deve prendere la propria decisione (se pubblicare a pagamento, con contributo come nel caso di Paolo, o gratuitamente) a seconda dell'opera che intende proporre e della sua personale situazione.
3. Questo non toglie che l'opinione di Stella sugli editori che pubblicano solo a pagamento non sia giusta: un imprenditore dovrebbe saper fare il proprio mestiere e correre i propri rischi. Questo giudizio negativo riguarda però, secondo me, gli editori, non gli autori, che hanno tutto il diritto (e direi il dovere) di fare le proprie scelte a seconda del caso.
Il tuo intervento a me sembra molto equilibrato e condivisibile.
RispondiEliminaPer il libro fai come credi, comunque nei prossimi giorni passerò alla sede a lasciare una copia per chi lo volesse leggere.
Perdonami Stella se non ho continuato a commentare. Non è vero che non ho trovato interessante. Sto cambiando lavoro ed il tempo che ho, per fare tutto compreso scrivere, è veramente poco.
RispondiEliminaPer lo stesso motivo quest'anno non riuscirò ad unirmi a voi per il corso di scrittura.
Trovo due minuti per entrare nei commenti.
Sono d'accordo con la tua scelta, Stella, come con quella di ogni scrittore che decide cosa farne di ciò che scrive.
Io ho scelto di pubblicare. E sono felice di averlo fatto.
Ho altri lavori pronti che sto inviando in giro e per i quali ho ricevuto diverse proposte a pagamento che questa volta non accetterò.
Il riscontro che ho avuto dalla pubblicazione non è stato il massimo, nel senso che nonostante la pubblicità fatta, non ho evidenza della visibilità che ho ottenuto.
Mi sono mossa anche in autonomia (recensioni...), per farmi conoscere, ma il mercato editoriale secondo me è troppo saturo e ognuno di noi è una goccia in mezzo al mare.
Un abbraccio a tutti!
Robi.