Vi propongo un breve racconto che ho scritto tempo fa, mi piacerebbe conoscere la vostra opinione...
ELIDIA
Sono quasi le sette, si sta facendo buio fuori; comincio a riordinare i tavoli, raccogliendo le pedine del Monopoli di Guerre Stellari; dov’è finito Luke? Non se lo sarà portato via qualche ragazzino?
La ludoteca era un locale al piano terra di una piccola palazzina, forse originariamente adibito a garage; una stanza lunga e abbastanza ampia per contenere alcuni scaffali di metallo lungo le pareti e cinque o sei tavoli al centro.
Entrai un po’ titubante, con mio figlio di sei anni che trotterellava con aria incerta accanto a me e la piccola di due anni, in braccio. In fondo alla sala, seduta ad una scrivania, una signora con i capelli corti e scuri mi sorrise. Ricambiai con un sorriso fugace e imbarazzato, avanzando lentamente per poter osservare i ripiani degli scaffali, pieni di scatole di giochi disposti in buon ordine, con etichette colorate e numeri; qualche bambino, seduto ai tavoli, giocava. Mi avvicinai alla scrivania ed esordii, incerta: “…avevo telefonato questa mattina…”
Lei mi sorrise, mi spiegò gentilmente il regolamento, poi prese una scheda per l’iscrizione. Così conobbi Elidia.
Le schede di oggi sono state tutte timbrate. Controllo le firme di presenza; accanto a qualcuna manca l’età del bambino, la aggiungo io. Vado a spegnere un computer che è stato lasciato acceso. Ripongo nello scaffale dei libri l’ultimo Harry Potter.
Da pochi mesi era morto mio padre. Elidia mi spiegava come svolgere i compiti burocratici: la compilazione delle schede, il prestito dei giocattoli…e intanto mi rivelava alcuni segreti del mestiere, sul modo di rapportarsi con i bambini e i genitori, ma anche con gli amministratori… Improvvisamente, mi chiese come stavano i miei figli; poi, pacatamente, cominciò a raccontarmi di suo padre; di come un giorno, quando i suoi genitori erano ormai da tempo separati e lui viveva in un’altra città, avesse telefonato per dire che sarebbe venuto per le feste e di come fosse arrivato, stranamente, in treno anziché in auto, come era solito. Si era fermato qualche giorno, poi era ripartito.
Era stata l’ultima volta che lo avevano visto: qualche giorno dopo si era ricoverato ed era morto di un tumore diagnosticatogli mesi prima; la ex- moglie non era mai riuscita a perdonargli questa decisione di aver voluto morire da solo, senza condividere con la famiglia le sue sofferenze.
Io ascoltavo ed immaginavo quest’uomo che da solo tornava, sul treno, deliberatamente, verso la propria morte; e intanto, vedevo mio padre, che non aveva scelto di morire da solo, steso in mezzo alla strada, in una pozza di sangue.
Elidia prese un libro dallo scaffale, me lo porse e mi disse: “Forse a tuo figlio farebbe piacere leggerlo”. Era “Mattia e il Nonno”, di Roberto Piumini. Lo portai a casa e lo lessi, piangendo e liberando un po’ del mio immenso dolore.
La luce che entra dalle finestre della ludoteca sta scemando, il locale è ormai immerso nella penombra del tardo pomeriggio autunnale. Controllo le due o tre scatole dei giochi che sono rimaste sulla scrivania e le ripongo dietro, nello scaffale dei giochi da riparare. Chiudo il libro delle presenze nel cassetto e prendo la mia borsa. Mi fermo un attimo a pensare: forse potrei portare a casa i “Vampiri in salsa rossa” per giocarci stasera con i ragazzi…
“Da qualche giorno ho un mal di schiena… devo essermi presa uno strappo spostando le fioriere sul terrazzo” mi disse mentre stavamo infilando i giochi dentro gli scatoloni per il trasloco. I locali della ludoteca, prestati dalla scuola, dovevano essere restituiti e noi ci trasferivamo in un locale del quartiere. “Meno male che ci hanno mandato Luca, così gli scatoloni pesanti li facciamo spostare a lui”.
L’estate si annunciava con giornate sempre più lunghe e calde, mentre studiavamo come disporre gli scaffali e i tavoli nel nuovo locale. Di tanto in tanto, una pausa caffè e una sigaretta. Quattro chiacchiere per raccontarci stralci di vita. Ricordi dei tempi dell’Università, preoccupazioni per il futuro dei figli. Il mal di schiena che non passava.
È ormai buio fuori e dalle finestre entra solo la tenue luce dei lampioni. Prendo le chiavi, percorro con un ultimo sguardo il locale in tutta la sua ampiezza, per verificare che ogni cosa sia al suo posto. Mentre lo attraverso, nel silenzio e nella semi- oscurità, per raggiungere l’uscita, sento sulle spalle una strana sensazione, come se uno sguardo mi avesse sfiorato.
Accarezzo il pozzo di cartone, che dà il nome alla ludoteca, apro la porta e sono fuori. Nell’aria fresca della sera, giro la chiave, mi assicuro di aver chiuso, salgo in macchina e mi immergo nel traffico.
“Come stai? Quando torni al lavoro?” Erano i primi di dicembre, la ludoteca pullulava di bambini e ragazzi, che non potevano più fermarsi a giocare al parco nel pomeriggio. “Io e Laura stiamo cercando di fare del nostro meglio, ma ci sono delle cose che volevamo chiederti…”
La risposta, dall’altro capo del filo, mi arrivò direttamente nello stomaco: “Io non torno più…”.
Bella l'ambientazione della ludoteca che esalta il contrasto tra un ambiente sereno e la tristezza di tutto il racconto. Però aggiungerei qualche descrizione in più su giochi e bambini: il racconto mi sembra eccessivamente sbilanciato sulla "tristezza", mentre la scelta della ludoteca deve essere, credo, più "motivata".
RispondiEliminaSecondo me andrebbe poi curato meglio lo sdoppiamento di piani (corsivo e tondo) perché non mi sembra sufficientemente chiara la differenza.
Anche sulla conclusione cambierei qualcosa (non so cosa) ma così mi sembra una chiusura troppo brusca, anche se anticipata dai brani precedenti...
Insomma c'è da lavorarci.
Lorella non so se sei d'accordo, è il mio parere, non è detto che sia giusto.
Ti ringrazio molto, è un testo che ho scritto da un po' e sul quale mi sento un po' a disagio, nel senso che mi sembra di doverlo scrivere, ma sento che non è proprio come lo vorrei. Farò tesoro dei tuoi consigli.
RispondiEliminaA me è piaciuto molto. Però concordo con manuela: il finale ha un che di improvviso. Anche se chiudere con la telefonata e con quella frase, che fa gelare il sangue, mi piace molto. Forse dovresti "prepararla" solo un pochino, lavorando non sugli eventi ma proprio sull'atmosfera.
RispondiEliminaPer il resto mi piace molto la scelta del linguaggio, così sobrio in contrasto con la drammaticità del tema. E ho trovato molto teneri i riferimenti ai libri per bambini. Danno una nota di serenità. O almeno... a me la hanno data.
Il racconto a me è piaciuto. Si tratta di due storie che si intrecciano e forse, come dice Manuela, la parte relativa alla ludoteca va un po' ampliata, altrimenti rischi che rimanga soltanto un "appoggio" per l'altra storia. A me il finale così asciutto piace molto, infatti le frasi che hanno segnato la nostra vita spesso non hanno bisogno di un contorno particolare.
RispondiEliminaIo ho provato a leggere di seguito la parte in grassetto e quella in stampato. Non mi sono sembrate due storie, mi sono sembrati due tempi della stessa storia. Quando Eliana ancora c'è, quando di Eliana c'è solo una presenza avvertita dalla protagonista. Anche secondo me la tristezza pervade tutto il racconto senza scampo. Vorrei saperne un po' di più di Eliana, com'è che si va a lavorare in una Ludoteca? Per concorso? Per volontariato? Per disperazione? Il nocciolo della storia è che entrambe le donne hanno perso il padre in maniera diversa, ma non si confrontano su questa perdita? Resta il fatto che se l'autore non sente la necessità di ampliare il suo racconto può anche lasciarlo così con i suoi vuoti e i suoi sbilanciamenti.
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