******
Aveva solo delle saldature fredde… sembrano a posto, ma se ci guardi con una lente, muovendo i componenti, sono staccate, hanno una crepa…
Odore
di benzina. E di chiuso. Qualche macchia d’olio che il pavimento aveva
assorbito e non era più possibile far venire via. Sul banco degli attrezzi, un
paio di chiavi, un cacciavite, guanti da lavoro. Una lattina aperta di birra.
La
luce del giorno filtra dallo spiraglio della porta basculante abbassata fin
quasi a terra.
Una volta smontato bisogna rimuovere la
gomma di spugna scaldandola per intenerire ll biadesivo, poi bisogna dissaldare i sei fili rigidi. Con
attenzione, è un lavoro non facile. Ok, ora togliamo le 4 viti Torx …Eccola, la
schedina...
Suono
del telefono. Si distrae per un istante, un istante solo. Il telefono, in
soggiorno, continua a trillare: una, due, tre, quattro volte. Poi scatta la
segreteria: “Ciao, sono io. Anna, ti sto cercando da ieri, perché non rispondi
al cellulare? Richiamami!”
Ecco la saldatura da sistemare: bisogna togliere
con attenzione lo stagno, non come quelli che ce ne riappiccicano sopra un
altro po’. Poi si aggiunge dello stagno nuovo, ma poco, quanto basta, non è
necessario fare delle grosse bolle, non
serve a niente.
Una
goccia di sudore scivola lentamente lungo la tempia sinistra. Lui ripensa alla
prima volta che ha preso in mano un saldatore.
Aveva dieci anni, più o meno. Con suo
padre. Era bravo, era sempre stato bravo nei lavori manuali. Abile, preciso. Lo
dicevano sempre anche a scuola. Istituto tecnico industriale. Abile a mettere
insieme i pezzi, a riparare, ad assemblare. Anche la sua vita. Si era messo in
proprio, si era comprato una casetta, si era scelto la donna giusta. Tutti i
pezzi al loro posto. Era quello il segreto: mettere ogni pezzo al posto giusto.
La
luce al neon sfrigola per un attimo. La guarda irritato. Appoggia con cautela
il saldatore. Afferra la lattina di birra. Lavorare con la porta basculante
semi- chiusa fa venire sete. Non circola abbastanza aria. Ma la lattina è
vuota. Decide di entrare in casa a prendere qualcosa in frigo.
Sulla
parete della cucina, accanto al frigorifero, la foto di un’estate. Lui, Anna e,
sullo sfondo, una barca a vela sul lago. Si scola un’altra birra.
Perfetta, quella vacanza. Aveva
organizzato tutto. Molto romantico. Era sicuro di riuscire a convincere Anna ad
avere quel figlio che lui voleva da tanto. Era il momento giusto. Ma lei non si
sentiva pronta. Titubava. Eppure lui era sicuro: quando una donna è incinta, le
passa ogni dubbio. La gita in barca a vela sul lago, una cenetta a lume di
candela, una bottiglia di champagne …all’ultimo momento lei aveva capito le sue
intenzioni, aveva fatto la ritrosa, aveva finto di non volerlo più fare. Ma lui
era andato dritto allo scopo.
Torna
in garage: c’è il lavoro da finire. Il servosterzo deve essere rimontato sulla
vettura. L’auto dev’essere pronta per la sera. Tutto deve essere perfetto. Ogni
cosa al suo posto. La vita è un puzzle, più o meno complesso, ma comunque un puzzle
nel quale far incastrare per bene tutti i pezzi.
Lei gli aveva tenuto il muso, nei giorni
seguenti. Ma lui sapeva che le sarebbe passato. Avrebbero cominciato a fare
progetti. Lui aveva già comprato il legno per costruire la culla: lei sarebbe
stata entusiasta di una culla fatta a mano, unica, proprio per il suo bambino. Anna
sarebbe stata una madre perfetta.
Un
trillo. Il cellulare di Anna. Dev’essere rimasto da qualche parte. Lui si
guarda intorno. Dentro l’auto. Anna ha appoggiato la borsa sul sedile. Lui
infila la mano nel finestrino aperto, prende il telefono. Sul display il numero
di casa della suocera. Certo, e chi si aspettava che fosse? Un amante? Gli
viene da sorridere al pensiero. Non certo Anna.
Ma quando lui le aveva mostrato il legno
per la culla, lei si era messa a piangere. Lei non voleva un figlio, gli aveva
ripetuto. E non lo avrebbe avuto. Aveva già provveduto. Lui all’inizio non
aveva capito che cosa intendesse dire. Allora lei glielo aveva spiegato più
chiaramente. Era stato terribile. Per qualche minuto lui era come impazzito.
Lavoro
completato. L’auto è a posto, ora. Fuori comincia a fare buio. È ora di andare.
Lui si toglie la tuta, va a prendere la giacca appoggiata sulla poltrona in soggiorno.
Si guarda un istante allo specchio dell’ingresso, si chiede se sarebbe meglio
indossare anche una cravatta. No, troppo formale.
Torna in garage, apre il
portabagagli, solleva il corpo di lei e lo sistema dentro. Fuori è
completamente buio, ormai. L’auto si avvia lungo la strada, senza fretta, verso
il lago.
Lorella Camporesi
MOLTO carino! Il finale è una vera mazzata. No, non me lo sarei aspettata assolutamente.
RispondiEliminaLa struttura è costruita con molta accuratezza, così come la scelta del linguaggio "tecnico" è un valore aggiunto tutt'altro che noioso.
Mi è piaciuto molto. Brava, Lorella. :-)
Grazie, Francesca, ben ritrovata! E' una delle nostre "produzioni" al corso di Marziani. Che ne dite di pubblicare qualcosa anche del vostro gruppo?
RispondiEliminaMolto volentieri spargerò la voce presso i miei "soci". :-)
RispondiEliminaSono d'accordo con Francesca, anche secondo me la scrittura così analitica non è affatto noiosa in questo caso, anzi è molto piacevole perché il ritmo è veloce. Il racconto mi piace un sacco :-)
RispondiEliminaQuesto racconto è super, ma te lo avevo già detto. Tienilo da parte che non si sa mai. Ciao. Carla-
RispondiEliminaPosso pubblicare anche il tuo, Carla?
RispondiElimina