i racconti della domenica |
Giunta alla fermata, Idina, si accasciò sulla panchina. La pensilina era stata divelta mesi prima e nessuno si era preoccupato di rimetterla a posto.
Il frinire delle cicale, proveniente dal parco di fronte, assordava il silenzio di quel pomeriggio agostano. Pensò di raggiungerlo e cercare riparo all'ombra di una pianta. Da lì però non avrebbe visto l'autobus arrivare, correndo il rischio di perderlo e dover aspettare un'altra ora.
Sentendosi la bocca impastata si raddrizzò per guardarsi attorno, ma il bar più vicino era chiuso per ferie. Non aveva scampo e l'autobus tardava. Perline di sudore color prugna le ingioiellavano la fronte, sciogliendo l'aureola lasciata dalla recente tinta fatta in casa.
Idina tirò fuori dalla borsa il pacchetto di Winston. Con l'unghia del pollice lo aprì e sfilò una sigaretta che estrasse con le labbra. Il Bic azzurro era quasi scarico e soltanto dopo diversi tentativi riuscì ad accenderla. Riccioli di fumo uscirono sibilando dalle labbra socchiuse, salendo a spirale le fecero lacrimare gli occhi, già appannati dalla calura.
Le note roche di Sei bellissima la fecero sobbalzare. Era un sms: "Scusa, mamma, purtroppo un imprevisto mi impedisce di venire a trovarti. Ci sentiamo più avanti. A presto."
Non era la prima volta che accadeva e Idina cercò di non far caso a quella farfalla triste che frullava, prigioniera, nello stomaco. Francesca, dopo la laurea al Dams di Bologna, era andata a vivere a Roma. Lì aveva conosciuto un regista, uno impegnato. Idina non l'aveva mai sentito nominare e neanche la Olga, la sua grande amica Olga, che sapeva sempre molte più cose di lei. Però l'avevano cercato dentro internet e lì c'era quindi, sicuramente, era famoso.
D'altra parte a lei e alla Olga piacevano le commedie brillanti, quelle dove le storie facevano ridere e andavano a finire bene. Infatti, come diceva la Olga:“Perché pagare per andare a vedere storie tristi che tanto ti capitano gratis?”.
Idina allungò un braccio lungo lo schienale della panchina, e con le unghie smaltate rosso passione screpolata si mise a grattare il legno e a osservare le incisioni. C'erano i cuori trafitti di Marco e Giorgia, quelli infranti di Michele e Silvia, promesse d'amore eterno e promesse più terra terra, numeri di cellulare, frasi in codice, Luana che riceveva tutti i giorni dalle 10 alle 23, bestemmie e invocazioni a Dio, la sorella di Antonio – buonanima - che la dava a tutti bastava mettersi in fila, organi genitali di varie dimensioni, il tutto assemblato in una mappa umana che il sole e la pioggia avevano cercato inutilmente di cancellare.
All'improvviso dal parco uscì, ancheggiando, uno splendido corpo bruno. Avvolto in un ridottissimo abito bianco, sfoggiava gambe da centometrista che svettavano in cima a tacchi 13, fianchi stretti e spalle da nuotatore allevato a ormoni. Un'ondeggiante cascata di capelli rosso rame fiammeggiava come un incendio.
“Ciao. Mi soi Gabriela. Poco lavoro oggi, vero?”
Idina si guardò intorno, non c'era nessuno, parlava proprio con lei. L'aveva scambiata per una puttana... avrebbe quasi voluto ringraziarla.
Sentì un rombo provenire da dietro la curva. Dopo alcuni istanti sbucò un tir. Il camionista si fermò, nascondendo l'incendio Gabriela. I due parlarono un attimo, dopodiché Gabriela salì sul camion. In quel mentre l'uomo si girò verso Idina, abbassò il vetro e sorridendo, appoggiò al finestrino un braccio con bicipiti da boscaiolo.
“Scusa bimba, ma ho visto prima lei. Però se mi aspetti al ritorno ci sarà un bocconcino anche per te”.
La salutò schioccandole un bacio e ripartì.
Idina guardò il cellulare, rifugiandosi nell'illusione che sul display comparisse un avviso di chiamata da parte di Giorgio o Mario. Ma nella sua vita non c'era nessun Giorgio, e a dire il vero neanche un Mario.
Idina per un attimo invidiò l'incendio. Da quando il marito se n'era andato all'inseguimento di un ogm - organismo giovane e magro - lei era sempre stata sola. Come non perdeva occasione di ricordarle la signora Ester, la bella professoressa moglie del dottor Serra, avrebbe dovuto curare di più la sua immagine e dimagrire poiché l'età , il metro e cinquantacinque di altezza e qualche chilo di troppo la rendevano fuori mercato.
Idina abbassò gli occhi, soppesando gli involtini di ciccia che dal seno ruzzolavano verso l'inguine, inseguendosi come onde del mare. Dal manifesto pubblicitario di fronte, una splendida donna in bikini sorrideva compiaciuta di sé. Si guardarono per un lungo istante, tra loro la strada deserta.
Però non era sempre stato così. Prima di sposarsi Idina era stata una figlia dei fiori. Aveva bellissimi capelli neri, lunghi, che portava sciolti sulle spalle. Indossava allegre gonne a fiori, suonava la chitarra e sognava di girare il mondo: Messico, India, Tibet. Poi aveva conosciuto lui, Bandito. Come avrebbe potuto non innamorarsi di uno che si chiamava Bandito? Soltanto il giorno delle nozze aveva scoperto che Bandito altro non era che il soprannome datogli dal nonno materno. L'aveva chiamato così perché da piccolo, la notte, aveva l'abitudine di rubargli la dentiera, che lui appoggiava sul comodino accanto al letto, e infilargliela aperta nelle mutande.
In realtà il vero nome era Guidalberto, e al ritorno dal viaggio di nozze si era tagliato i capelli e aveva riposto le camicie a fiori e i pantaloni a zampa d'elefante, che facevano tanto Cugini di Campagna, per indossare giacca e cravatta ed entrare nello studio da commercialista del padre.
Addio gonne a fiori, addio chitarra, addio Messico, India e Tibet. Idina non ne aveva fatto una tragedia, pensando che fosse giusto così. Ma da allora una farfalla triste aveva iniziato a svolazzare nello stomaco. D'altra parte lei non era abituata a fare tragedie e quando Guidalberto l'aveva lasciata, in cuor suo quasi l'aveva capito se si era innamorato di una donna più giovane e più bella di lei.
Finalmente l'autobus arrivò.
«Ciao, Idina».
Una montagna d'uomo al posto del conducente le sorrise.
«Ciao, Giovanni».
Lei e Giovanni si erano conosciuti circa vent'anni fa, quando abitavano nello stesso quartiere.
Il viso largo dell'uomo era illuminato da un sorriso, simile a quello di un clown: un quarto di luna sdraiato sulla gobba. Non erano mai andati al di là di un semplice saluto, come se in quelle poche parole ci fosse tutto ciò che avevano bisogno di sapere l'uno dell'altro. Poi Giovanni aveva cambiato quartiere e non si erano più incontrati.
L'autobus era vuoto e la strada deserta.
Dopo circa un quarto d'ora Giovanni si fermò davanti alla casa di Idina. Si guardarono per un lungo istante incapaci di muoversi, gli occhi verde menta di lei incatenati agli occhi nocciola di lui. Allora Idina lo prese per mano e insieme scesero dall'autobus. Attraversarono il vialetto d'ingresso, entrarono in casa. All'interno era fresco e una piacevole penombra avvolgeva i mobili e gli oggetti.
Idina condusse Giovanni in camera da letto. Non accesero la luce e non aprirono le finestre. Lentamente si spogliarono, si sdraiarono e fecero l'amore. Infine si addormentarono, ciascuno con lo sguardo dell'altro dietro le palpebre chiuse.
Al mattino Giovanni si rivestì senza fretta e...
"Ciao, Idina".
"Ciao, Giovanni".
Idina lo guardò uscire dalla camera da letto, lo sentì attraversare il soggiorno, aprire la porta d'ingresso e richiuderla delicatamente. Ascoltò i suoi passi sgranocchiare la ghiaia del vialetto. Dopo qualche istante sentì l'autobus avviarsi e allontanarsi.
Idina e Giovanni continuarono a incontrarsi per tutto il mese di agosto, il martedì e il giovedì, quando lei andava a stirare dalla signora Ester. Idina saliva sull'autobus, lui la incatenava con gli occhi e insieme andavano a casa sua.
Il due di settembre, alle otto del mattino, squillò il telefono. Era la Olga, rientrata il giorno prima dalla montagna. Aveva una gran voglia di vederla e tante cose da raccontare. Rimasero d'accordo che si sarebbero viste a casa di Idina per pranzare insieme.
Idina pensò bene di tirare fuori la tovaglia bianca, quella di lino con le margherite ricamate, regalo di Olga per un compleanno di qualche anno fa.
Andò al guardaroba e nell'aprirlo qualcosa le scivolò sulla testa, finendo a terra. Idina si guardò attorno e vide una borsa di paglia con delle conchiglie applicate, il cui contenuto era sparso sul pavimento insieme ai pezzi delle conchiglie. Si trattava di un regalo di Guidalberto, che in un momento di rabbia lei aveva tirato sull'ultimo ripiano dell'armadio, per non trovarselo più sotto gli occhi a parlarle di lui.
Idina si chinò a raccogliere gli oggetti finiti sul pavimento: uno specchietto, un rossetto, un pacchetto di fazzolettini di carta, un biglietto dell'autobus e una busta. Si rigirò la busta fra le dita, la tastò, dentro c'era una lettera. Non ricordava di averla mai vista. Estrasse la lettera dalla busta, lentamente l'aprì e iniziò a leggere.
Una calligrafia generosa aveva scritto che l'amava, che l'aveva sempre amata e che in qualunque momento lei avesse avuto bisogno lui sarebbe stato lì accanto a lei. Guardò la data, risaliva a circa sette anni prima. Guardò la firma... Giovanni.
Idina si accasciò a terra con la bocca aperta, in una esclamazione da film muto. All'improvviso ricordò quel giorno di tanti anni prima, l'ultima volta che aveva visto Giovanni. Ricordò i suoi occhi liquidi, il sorriso triste. Probabilmente in quell'occasione le aveva lasciato scivolare la lettera nella borsetta, dopodiché non si erano più rivisti e lui se n'era andato in un altro quartiere. Per lei quelli erano stati giorni difficili, Guidalberto se n'era andato da poco, lasciandola piena di rabbia e di rancore e incapace di prestare attenzione a qualcosa di diverso che non fosse il suo dolore.
Rimase per parecchio tempo seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro e lo sguardo fisso davanti a sé. Il suono del campanello d'ingresso la fece sobbalzare.
Olga entrò come un ciclone, l'abbracciò affettuosamente sommergendola di chiacchiere, senza far caso all'espressione un po' stordita e vaga di Idina.
"A proposito, Idina, ricordi Franco, l'amico di Giovanni?"
Idina avrebbe voluto dirle che sapeva già tutto e che Giovanni era tornato.
"L'ho incontrato in montagna e tra una chiacchiera e l'altra mi ha raccontato di Giovanni. Mi è dispiaciuto tanto sapere che ha perso la vita in un incidente stradale alcuni anni fa. Stava riportando l'autobus al deposito, c'era la nebbia, forse un malore o chissà cosa, si è schiantato contro un muro".
L'autobus sempre vuoto, la strada deserta, i vicini che non si erano accorti che rimaneva parcheggiato davanti casa sua tutta la notte.
Finalmente Olga se ne andò. Idina guardò l'orologio, erano le quattro. Mezz'ora dopo era alla fermata dell'autobus. Di lì a poco l'autobus arrivò. Idina salì, salutando il signor Oreste, il conducente di turno. Quest'ultimo la salutò cordialmente e le disse che aveva ripreso servizio da poco. Le raccontò che si era preso un periodo di ferie, approfittando del fatto che in agosto alcune corse erano state sospese, ad esempio quella del primo pomeriggio. Pertanto si informò se avesse subito qualche disagio. Idina rimase qualche attimo in silenzio poi, con un filo di voce, rispose che no, non aveva avuto nessun problema.
Il giorno dopo, alle due del pomeriggio, terminato il servizio presso la signora Ester, Idina camminava pesantemente verso la fermata dell'autobus. Faceva ancora caldo e l'autobus era in ritardo, ma almeno il bar era aperto. Il barista, italico Big Gym versione barman, la sbirciò annoiato, masticando la cicca. Idina ordinò un bicchiere d'acqua. Il barista, guardandola con un misto di curiosità compassionedisgusto, le diede l'acqua, quindi infilandosi una mano nei pantaloni si sistemò i gioielli di casa e tornò annoiato al suo lavoro.
Idina uscì, si accese una sigaretta e si diresse verso la panchina dove Giorgia e Marco erano ancora trafitti, la sorella di Antonio insisteva nel darla a tutti e Luana continuava la sua carriera di libera professionista senza partita Iva. Non era cambiato nulla.
Quando l'autobus arrivò, salì a testa bassa.
«Ciao, Idina».
Giovanni la guardava sorridendo. Una bellissima farfalla gialla con delle macchie rosse e blu svolazzò allegramente attorno a loro, si avvicinò al finestrino e dopo un'ultima piroetta uscì nell'aria azzurra. Le porte si chiusero. L'autobus si avviò lentamente lungo la strada deserta, allontanandosi sempre di più sino a sparire, laggiù, a sud dell'orizzonte, diretto verso un paese chiamato altrove.
Questo racconto mi piace un sacco. Per quello che racconta, certo - la storia è curiosa e molto tenera - ma soprattutto come la racconta. Questi piccoli, piccolissimi particolari, che sembrano senza importanza e invece ti risuonano dentro con echi profondissimi. Questi particolari che raccontano i personaggi, le loro vite, i loro caratteri. Una scrittura minuta ma accurata, che sembra procedere in punta di piedi ma arriva diritta dove vuole.
RispondiEliminaAnche qui, come nel racconto di Stella, apprezzo moltissimo la scelta dei nomi. Scusate, è un mio pallino... portate pazienza. :)
Ho trovato questo racconto molto interessante, ma, se posso permettermi, un po' "compresso": credo che se tu avessi voglia di lavorarci (magari lo hai già fatto, non so...) potresti ricavarci un racconto lungo o anche un romanzo. Dico questo perché i personaggi sono così ben caratterizzati che dispiace un po' lasciarli andar via. Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più di alcuni di loro.
RispondiEliminaCredo che una delle tue migliori doti di scrittrice sia la vena ironica con cui dipingi il tutto e quel sapore di "romagnolità " che secondo me potresti sottolineare anche di più: ad esempio, il fatto che tu usi l'articolo davanti ai nomi femminili colloca il racconto in un preciso spazio geografico, senza doverlo dire apertamente; avresti potuto usare questa tecnica per tutto il racconto, secondo me.
Nel complesso la storia fa assaporare un'atmosfera un po' felliniana e un po' "Non ti muovere"...
Questo racconto mi è sempre piaciuto moltissimo. Tanto che avevo suggerito a Barbara di utilizzare l'escamotage dell'autobus per fare una piccola serie di racconti, sempre "gestiti" con la stessa ironia e lo stesso stile veloce. Secondo me, ne verrebbe fuori una bella raccolta.
RispondiEliminaOppure potrebbe essere interessante l'idea di Lorella di costruire un racconto lungo o un romanzo da questo breve testo.
In ogni caso, Barbara, continua a ragionarci su, ne vale la pena...
Decisamente un racconto notevole. Giusta la scelta dei nomi, concordo con Francesca e colgo l'occasione per dire che non è che sia un dettaglio di poco conto. Ma io non capisco il finale. Cioè mi viene da chiedere vanno via insieme? Lei si è sognata tutto? Lei muore alla fermata dell'autobus alla fine di Agosto?
RispondiEliminaStella