Philip
Roth
traduzione
di Vincenzo Mantovani
Lotti
contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti
alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di
pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un
carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d’acciaio spesse quindici
centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di
piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con
larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta,
e tuttavia non manchi mai di capirla male.
Tanto
varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male
prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la
capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro
dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa
capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente,
una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli
equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così
importante, la storia degli altri, che si rivela priva del
significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato
grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli
scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e
vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata,
creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi
di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi umiliamo
con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la
gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e,
dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi:
sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto
sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete
fortunati.
"capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita"...
RispondiEliminaNon ho letto "Pastorale americana", ma ne ho sempre sentito parlare bene.
Delle due l'una: ho capito male le recensioni entusiastiche, oppure ho capito male questo brano, che a me sembra così banale da potere essere dimenticato dopo cinque minuti.
Ma forse non l'ho capito, oppure non è rappresentativo del libro, oppure non so godermi la gita...
manuela
Neanch'io ho letto il libro, quindi non saprei dire... trovo questo brano un po'... deprimente: espressione soggettiva dell'incomunicabilità che ha tanto interessato la filosofia del Novecento e che, personalmente, mi ha sempre piuttosto infastidito. Io sono una che prova semplicemente a godersi la gita, consapevole che gli altri sono una realtà troppo complessa per capirli davvero, ma anche che qualche pezzetto degli altri, ogni tanto riesco a capirlo, come immagino facciano gli altri con me.
RispondiEliminaPure io non ho letto il libro, ma tutto 'sto sproloquio (mi riferisco a Roth) per dire che cosa?
RispondiEliminaDi questo scrittore avevo letto un libro tempo fa, però non mi ricordo più quale e non mi ricordo niente del libro. Vorrà dire qualcosa.
Premetto che i gusti sono gusti e sui gusti non si discute e via proseguendo di proverbio in proverbio. Ma adesso mi sento in colpa: ho chiesto io a lorella di postare questo brano perché l'ho trovato molto bello... ma non vorrei avervi allontanate da Roth invece che avvicinarvi come era nelle mie intenzioni.
RispondiElimina"Pastorale americana" è davvero un bel romanzo... e Roth - che pure non mi sta simpatico - rivela in esso di essere un GRANDE scrittore. Non so se meritevole del Nobel... ma di sicuro un narratore con i controfiocchi. :)
I personaggi sono molto vivi e molti profondi. Soprattutto diversi, in se stessi, da quanto danno - o vorrebbero dare - a vedere.
Ed è proprio da questo senso del "fraintendimento" che parte tutta la storia dello Svedese, il protagonista di questo romanzo.
Vabbè, spero di aver rimediato al mio "errore". Adesso siete un po' meglio disposte verso questo libro? :-)
Non preoccuparti, Francesca, in realtà credo di aver colto il senso. Quello che intendevo dire è che questo "fraintendimento", che è un po' tipico di molta letteratura del Novecento, mi ha sempre spiazzata (io sono ancora molto ottocentesca, credo nei grandi ideali, nella Verità...), ma il problema è mio, non di Roth! : D
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