Benvenuti in Letteratura e dintorni!

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Università aperta Giulietta Masina e Federico Fellini ha sede a Rimini e si occupa da anni di educazione permamente per un pubblico vasto e variegato per età, inclinazioni e interessi. Questo blog è dedicato in particolare a tutti coloro che frequentano, hanno frequentato o vorrebbero frequentare i nostri corsi di scrittura ma anche a tutti coloro che amano leggere, scrivere, confrontarsi su argomenti letterari.


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domenica 17 luglio 2011

Orizzonti sconfinati di Alessandro Ghigi



Una piccola sporgenza di roccia, spessa quanto un paio di monete lo sovrastava,
bastava un piccolo sforzo, salire ancora di circa un metro, aggrapparsi con forza alla piccola striscia di granito e tirare su le gambe sino a raggiungere una lieve rientranza nella montagna. A quel punto, con il peso del corpo distribuito su tre punti avrebbe tentato con la mano libera, di agganciare la corda che gli cingeva i fianchi all’anello di un chiodo conficcato nella roccia.

Era in parete da più di tre ore, sentiva la roccia calda sotto il suo corpo, riscaldata dall’irraggiamento solare, che lo stava disidratando poco a poco, la gola era riarsa e non aveva un appiglio sufficientemente saldo per distogliere un braccio dalla presa e sfilare la borraccia dallo zaino.


Doveva muoversi, togliersi da quella posizione statica che gli fiaccava le forze esponendolo al rischio dei crampi. Doveva evitarli assolutamente, un crampo ad un braccio o ad una gamba e si sarebbe trovato in balia della montagna a 3000 metri di altezza e senza la possibilità di discenderne. Perlomeno vivo.

Aguzzò la vista per scorgere uno sbalzo, una rientranza anche minima. Apparentemente il granito era uniforme, senza asperità, ma guardando con attenzione notò un piccolo foro, una presa monodito a destra, poco sopra la sua testa.
Allungò il braccio facendolo scivolare sulla parete, lo distese sino a quando il polpastrello dell’indice andò ad infilarsi nella piccola rientranza.

Riversò il peso del busto sul dito della mano destra e con la sinistra sfilò la borraccia dallo zainetto bevendo con avidità. Adesso doveva spostare le gambe, muoverle in qualche modo per farle riposare da quella posizione stressante.

Lasciò la presa della gamba sinistra aprendola a compasso sino a che non incontrò una rientranza, saggiò col piede la solidità dell’appoggio e poi vi scaricò il peso del corpo; poi fece lo stesso movimento con la gamba destra, ma non riuscì a trovare un’altro appoggio.
Scostò la faccia dalla parete e guardò sotto di sé: vide solo un appiglio sfuggente, vi posò la gamba senza gravarla di peso.

Adesso lo aspettava l’ultima fatica, fece forza sulla gamba sinistra e cercò di agganciare il moschettone con la corda al chiodo conficcato nella parete; il primo tentativo andò a vuoto e, a stento, riuscì a mantenere un equilibrio, per quanto precario.

Il sole a picco e la parete calda lo facevano sudare copiosamente e il sudore scendeva dai capelli alle sopracciglia che non riuscivano a trattenerlo facendolo gocciolare negli occhi, impedendogli una vista ottimale.

Riprovò la manovra fatta in precedenza, ma stavolta distese il braccio maggiormente, con la guancia appoggiata al granito mentre cercava di agganciare il moschettone al foro del chiodo: sentì la gamba destra che gli stava cedendo e sfilò lesto il dito dal monoforo.

Sentì uno strattone violento e l’imbragatura che si tendeva facendolo sobbalzare con violenza. Era riuscito ad ancorasi al chiodo piantato nella pietra, per poco, una frazione di secondo più tardi e sarebbe finito nel vuoto.

Si lasciò andare aggrappato a quel piccolo chiodo metallico, con le braccia e le gambe distese all’ingiù nello strapiombo, come un ragno aggrappato alla propria tela.

Era ormai giunto alla vetta, piantò un chiodo all’altezza del ginocchio, poi ci appoggiò la gamba destra e si issò sulla cima del monte.

Si alzò in piedi a osservare il panorama a 360 gradi, aveva le gambe che gli tremavano e le braccia indolenzite e formicolanti, la gola riarsa e gli occhi secchi, faticava persino a respirare, ma nonostante la fatica immane era pienamente appagato.

Si sentiva incredibilmente vivo e unito alla natura selvaggia che lo circondava in un tutt’uno inscindibile e un grande senso di felicità lo pervase.

1 commento:

  1. Amo queste sfide uomo/ natura oppure uomo/ sè stesso...d'altronde ho iniziato con London, molto bella anche la descrizione dell'atto "arrampicata", è reso molto bene!

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