di LETIZIA TORTELLO
Esiste ancora possibilità di fuga dal predominio della macchina editoriale, soprattutto quella dei grandi gruppi, che hanno le classifiche di vendita come unico parametro? Se lo chiede il critico Andrea Cortellessa in un documentario dal titolo provocatorio Senza scrittori, girato con il regista Luca Archibugi, prodotto da Rai Cinema e Digital Studio. L'inchiesta è stata presentata a Torino l'altra sera al Cinema Massimo. La pellicola prende il via con Cortellessa che, come un emulo di Michael Moore, si infiltra tra i tavoli imbanditi al Ninfeo di Villa Giulia, per assistere alla premiazione dello Strega 2009. È lì che si fanno i giochi della nostra letteratura. La fascetta gialla attorno ai testi che trionfano, il successivo passaggio televisivo da Fabio Fazio, insomma quella che nel film il critico Marco Belpoliti definisce «la cultura delle star» sembrano essere, dice Cortellessa, gli unici parametri di letterarietà con cui gli scrittori sono giudicati. E pubblicati. La conclusione del regista e dell'autore è rassegnata: non esiste più la repubblica democratica dei lettori. Tutto è marketing, il gusto dei consumatori è dominato dalle agenzie di formazione del consenso. Da questa «politica delle vetrine» il pubblico presente ha però dimostrato di voler prendere le distanze. Dopo la proiezione, ha tenuto a ribadire ai relatori (insieme a Cortellessa, c'erano anche lo scrittore Gianluigi Ricuperati e il regista Davide Ferrario) un'altra «verità»: è ben difficile valutare a caldo quali opere entreranno nel novero della grande letteratura, e dopo una breve stagione alla ribalta, nel dimenticatoio.
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Credo che qualunque lettore un po' smaliziato sia in grado di valutare se un libro (anche se premiato) vale oppure no.
RispondiEliminaE' vero che esiste il mercato editoriale con tanto di classifiche di vendita e grandi premi "spartiti" tra le maggiori case editrici.
Ma io, da lettrice, posso tranquillamente dire "chissenefrega". Esistono le librerie in cui sfogliare i libri, esistono i cataloghi e le interviste on line, esistono le presentazioni e gli incontri con scrittori più o meno noti.
Insomma, non sono molto d'accordo sul piangersi addosso e gridare al lupo al lupo.
Dobbiamo recuperare, come lettori e come persone, lo spirito critico e valutare autonomamente il valore di ciò che leggiamo.
Se poi emeriti incapaci vendono milioni di copie, ribadisco: chissenefrega. Anche in parlamento siedono decine di incapaci e sono ben più deleteri degli scrittori.
Cerchiamo di essere propositivi e costruttivi, in politica e in lettura.
Io sono convinta che per valutare le opere che entreranno nel novero della grande letteratura sia necessaria una distanza, anche cronologica, che noi contemporanei non possiamo avere. La storia ci insegna che, tranne pochi casi, quelli che sono stati considerati dei capolavori non venivano valutati così tanto dai contemporanei.
RispondiEliminaIn realtà, in letteratura succede come in molti altri settori: c'è il marketing e c'è la produzione di qualità. Qualche volta si incontrano, spesso viaggiano su binari separati. Pensiamo ad esempio alle produzioni cinematografiche e a quanti incassi fanno i cinepanettoni. Forse bisogna soltanto avere chiare, scrivendo, le proprie priorità: Cristian de Sica lo sa bene che con i suoi film non passerà alla storia del cinema, ma gli va bene così. Probabilmente è lecito anche scrivere per cercare la fama e magari i guadagni, ma se l'obiettivo primario è dire qualcosa di originale e significativo, forse la fama tra i contemporanei deve essere messa in secondo piano. Poi magari arriva lo stesso, non si sa mai. Basta essere chiari con se stessi.
La tua considerazione, Manuela, mi sembra un po' semplicistica. Io non credo che il lettore abbia poi tutto questo potere di scelta. Dovrebbe averlo, ma non mi pare sia sempre così. Purtroppo - e non accade soltanto adesso - sia in letteratura che, ad esempio al cinema, viene imposto un gusto, oppure possiamo dire che si viene educati ad un determinato gusto. Pertanto la parola "scegliere" ha un peso alquanto ridotto.
RispondiEliminaIeri pomeriggio sono andata al cinema, e come al solito tra un film americano e un film italiano ho scelto quello americano. Tra l'altro ve lo consiglio, si tratta di INCEPTION.
Questo è successo perché i film italiani in programmazione mi sembravano tutti piatti e incapaci di provocare emozioni che non fossero la risata da bar o la riflessione familiare/coniugale/adolescenziale/eccetera. Per carità, pure il cinema americano abbonda di porcherie. Comunque, tornando alla nostra Italia, di chi è la colpa? Voglio dire, se in Italia si continua a fare un cinema di così basso livello - ovviamente non si può generalizzare - forse è anche perché la gente vuole vedere quel cinema lì. Quindi se in Italia certi libri vincono premi - e sappiamo il peso delle case editrici in certe manifestazioni - o vengono pubblicati forse è perché vogliamo leggere quei libri lì.
Se le case editrici puntano su autori under 30 un motivo ci sarà, e non credo sia esclusivamente di tipo letterario. Concordo con Lorella che sarà il tempo a stabilire il valore di un libro. D'altra parte il fatto che forse poche persone si ricordano i nomi degli scrittori che ultimamente in Italia hanno vinto premi qualcosa vorrà dire.
Barbara, stai dicendo quello che dico io. Se scrivi che la gente vuole quel cinema lì o quel film lì, vuol dire che è la gente a decidere. Secondo te senza capacità di scegliere.
RispondiEliminaIo ho detto che dovremmo tutti (noi gente) utilizzare lo spirito critico, essere costruttivi e propositivi, cioè non farci condizionare dal mercato. Ma questo dipende - anche e soprattutto - da ciascuno di noi, secondo me.
Se continuiamo a fare le scelte più facili, facciamo il gioco del "potere" (editoriale, politico, culturale), se ci prendiamo in prima persona la responsabilità di ragionare, studiare, analizzare, valutare, allora la nostra scelta sarà libera.
Io credo che molto, moltissimo, dipenda da noi. Soprattutto se, come ho scritto, siamo lettori un po' smaliziati, come mi auguro siano quelli che partecipano a questo blog.
Non ho parlato di capacità di scelta ma di possibilità di scelta, è diverso. Si tratta di un condizionamento che avviene a monte, dopodiché ci viene chiesto di scegliere. La pubblicità insegna che prima si crea il desiderio, il bisogno, dopodiché si lancia il prodotto. Secondo me avviene qualcosa di simile anche in altri ambiti. Nel momento in cui noi ci rendiamo conto di subire dei condizionamenti questi hanno già fatto dei danni. Io ho parlato di educazione al gusto ma forse avrei fatto meglio a parlare di condizionamento del gusto, e sappiamo quanto potere ha la televisione in questo senso.
RispondiEliminaSe certi film in una città come Rimini non arrivano, oppure più in generale non vengono distribuiti, se certi libri non vengono ristampati oppure le librerie non li tengono (pure la biblioteca a volte è carente) ammetterai che parlare di "scegliere" ha poco senso.
Mi spiace, non sono d'accordo.
RispondiEliminaE' ovvio che esiste un condizionamento al gusto, ma secondo me va fatto il passo ulteriore. Le possibilità di scegliere ci sono, se ci si sforza un po'. A Rimini alcuni film non arrivano? E' vero, però se invece di andare alle Befane (scelta facile) si va in cineteca o al Tiberio si possono vedere molti film fuori dai circuiti più mercantili. Certi libri non vengono ristampati o le librerie non li tengono? Li si cerca su Internet.
Quello che voglio dire è che se ci si impegna, si può scavalcare il mercato. Certo, è più difficile, ma non impossibile. Personalmente mi rifiuto di essere schiava del mercato o anche solo di esserne condizionata.
Mi sforzo, da sempre, di ragionare con la mia testa, cercando libri, film, mostre e spettacoli che reputo validi.
Dato che la mia cultura ha molti limiti mi faccio aiutare da amici più colti di me, che mi spiegano come "leggere" (in senso lato) l'arte e la cultura, senza farsi abbindolare dal mercato. Oppure studio, leggo, mi informo (su Internet, sui giornali, alle conferenze ecc.).
Questa è la mia scelta, faticosa ma possibile.
E, detto in termini un po' pomposi, è una "scelta di vita" che condivido con molti dei miei amici.
Che tante persone non abbiano voglia di fare questo "lavoro" e si lascino condizionare dalla televisione è più che ovvio. Ma queste persone, scusa lo snobismo, non mi interessano. Perché penso che, tutto sommato, hanno quello che si meritano. La qualità, i valori, non sono gratis.
Un'ultima considerazione.
RispondiEliminaSecondo me, pensare che i condizionamenti del mercato siano "a monte" e così forti da impedire alla gente di fare delle scelte, significa non avere fiducia nell'uomo. Non avere fiducia nello spirito critico delle persone, non avere fiducia nell'essenza stessa dell'essere umano.
Io sono più ottimista. Sono convinta che le persone possano scegliere - sempre. Basta che lo vogliano.
La storia abbonda di esempi in questo senso, basti pensare alle dittature passate e presenti e a chi si ribella ad esse. Secondo me nessuno può spegnere il cervello umano, mai.
Barbara, via mail, mi faceva giustamente osservare che stavamo degenerando in polemica (io, a dire il vero).
RispondiEliminaScusate, non era mia intenzione. Ma su certi argomenti mi faccio trascinare...
Tranquilla, Manuela, i blog servono anche a questo: le discussioni, secondo me, ci stanno bene, perché fanno proprio il gioco della "ragion critica" di cui tu e Barbara parlavate. A volte noi donne (so di aprire un altro fronte di discussione, ma pazienza...) siamo così tanto attente ai rapporti interpersonali, che preferiamo sacrificare l'espressione sincera delle nostre opinioni piuttosto che rischiare di dire apertamente le cose come le pensiamo. Credo che dovremmo imparare a separare le persone dalle idee: non essere d'accordo su una certa opinione non significa non stimarsi sul piano personale. Non mi riferisco in particolare a voi due, ma in generale ai rapporti che mi sembra di cogliere negli ambienti a prevalenza femminile. Per quanto mi riguarda, considero i dibattiti, anche accesi, una bella fonte di riflessione.
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