Tratta dalla rivista “Poesia” n. 224 Febbraio 2008 – Edizioni Crocetti
(...) L'economia della carta vincola il prezzo del libro a quanto è lungo: è interessante cercare di capire come la scrittura in rete modifichi questo parametro. C'è un dato di economicità dietro il fatto che la carta può essere soppiantata da un messaggio che corre su un filo?
"Rispetto a quello che io continuo a concepire come un vero e proprio gioco della scrittura, queste forme rappresentano altro: un altro gioco, appunto.
Per me il verso si pone all'interno di un sistema espressivo che può essere fatto solo con determinati prerequisiti, così come un'opera teatrale potrà essere percepita solo all'interno di un teatro studiato secondo una particolare forma, perché chiamato a rispondere a una specifica domanda d'acustica".
Per me il verso si pone all'interno di un sistema espressivo che può essere fatto solo con determinati prerequisiti, così come un'opera teatrale potrà essere percepita solo all'interno di un teatro studiato secondo una particolare forma, perché chiamato a rispondere a una specifica domanda d'acustica".
Ci si può chiedere se c'è una generazione di intellettuali che ancora immagina che il valore delle cose che produce sia collegato all'idea che poi venga stampato su una pagina di carta, se esiste ancora una forma di feticismo del libro che traduce, nel valore del libro, il valore di quello che tu pensavi di dire.
"Sì, io mi ritrovo in questo. Anche se prima di pubblicare ho fatto moltissime letture, anzi, per vari anni la mia opera è esistita solo nelle letture; eppure, per me, l'essenza di questo sistema espressivo consisteva nell'arrivare sulla pagina. Naturalmente ci si può giungere nei modi più diversi: posso anche immaginare un editore che mandi un file a chi si abbona via internet; ma in ogni caso, una volta ricevuto a casa il documento, il lettore lo dovrebbe stampare in una pagina. Potremmo tutt'al più discutere del formato: per esempio, proporrei l'A4".
C'è una forma di identificazione del valore della parola poetica con il fatto che tipograficamente assume quell'aspetto? Nel medioevo per esempio non era così: il grande trobador componeva le canzoni che poi venivano eseguite; il valore in quel caso non era tanto nella pagina scritta quanto nell'esecuzione.
"Sarebbe come chiedere al trovatore di rinunciare alla musica. Come per lui la pagina era strumentale rispetto all'esecuzione musicale, così per me il file è strumentale rispetto all'esecuzione cartacea. È come chiedere a uno scacchista di eliminare la scacchiera. C'è assoluto bisogno di quello spazio: non si può giocare a battaglia navale togliendo le ascisse e le ordinate".
Anche io, pur essendo più giovane, appartengo a questa cultura: la letteratura l'ho letta sui libri a stampa, di conseguenza, se penso a Čechov, penso al libro di Garzanti sul quale ho letto Čechov in traduzione italiana. C'è una totale identificazione.
"Sì, e mi fa impressione pensare che tutto questo potrebbe anche cessare. D'altra parte esistono anche forme parallele; per esempio, quando leggo un testo sul computer, nell'impossibilità di evidenziare qualche passo sullo schermo usando il pennarello, faccio ricorso al grassetto".
Ma le cose che scrivi tu, percepite sullo schermo ti pare che abbiano lo stesso valore che hanno quando sono sulla pagina scritta?
"Alla fine si tratta di un'operazione fortemente mimetica. Di rado scrivo direttamente sul computer, in genere scrivo a mano, poi riverso sul computer, ci lavoro, poi stampo... è una sorta di corteggiamento, di danza propiziatoria".
Quindi esiste un valore della manualità rispetto alla parola. Ma c'è un feticismo della parola collegato al fatto che la scriviamo?
"Sì; se avessi un computer senza stampante, credo che a un certo punto impazzirei, mi sentirei letteralmente in gabbia. Con la Poesia ogni tanto ho bisogno della carta, come il delfino che ha bisogno di andare a prendere aria in superficie".
Quanto conserva la parola scritta del peso poetico che ha quando la pensiamo? C'è un livello di dépence tra la parola poetica nel momento in cui la immagini e diventa verso, e il momento in cui viene scritta? Il valore della parola poetica si traduce integralmente nella pagina scritta, diminuisce oppure addirittura aumenta?
"Dicendo questo, tu immagini una diffrazione che in realtà non esiste. Tranne rari casi, in cui non avendo nulla sotto mano bisogna immaginare i versi, di solito la mano e l'elaborazione sono in perfetta sincronia".
Quindi in sostanza tu dici che l'elaborazione della parola poetica e la scrittura si identificano?
"Completamente. Lo scarto è davvero inimmaginabile, questione di scariche di elettricità. Per me scrittura e poesia si identificano senza residui. (...) Comunque, per tornare al problema dell'uso del sapere, mi viene in mente che qualcuno ha definito i docenti i 'vu' insegnà'; io ho corretto questa definizione in 'vu' imparà'. L'immagine del docente che si sposta per piazzare la sua merce fatta di scibile, per me è molto vicina a quella dell'extracomunitario col tappeto sulle spalle. Ti dirò di più: la medesima idea sul rapporto tra economia e sapere, l'ho trovata in una poesia di Nabokov intitolata 'Una serata di lettura'. Nel testo, che racconta di un reading, Nabokov si paragona a un illusionista. Viene da pensare a quei rivenditori che mettono i loro banchetti per la strada, e sistemano sul leggio o sul tavolo i loro articoli prima di accingersi allo smercio".
A proposito di smercio, c'è forse un'altra questione legata alla scissione che c'è tra valore economico e valore affettivo di ciò che si produce. Questa scissione si attua anche nel caso dell'oggetto letterario? Nel momento in cui tu "alieni" una poesia, la pubblichi, possiamo dire che essa perde quel valore affettivo che aveva, oppure lo conserva, e in qualche modo lo porta con sé?
"Rispondo un po' lateralmente. Mi viene in mente un'intervista a Isabelle Stengers, filosofa e storica della scienza, che mi ha molto colpito. Vi si diceva che la grande differenza tra un biologo e un fisico sta nel fatto che, a differenza del fisico con i suoi oggetti inanimati, il biologo può affezionarsi alla proprie cavie. Io pensavo a quale potrebbe essere lo statuto rispetto a questi due termini: si tratta di un minerale o di un animale? Forse una strana via di mezzo. Essenzialmente la poesia è un oggetto reattivo, è come certi materiali i quali, a volte, possono caricarsi di una energia che poi perdono subito dopo. I versi che scriviamo e pubblichiamo - dici bene 'alieniamo' - restano quindi oggetti potenzialmente attivi. Personalmente sono molto attratto dall'immagine dello zombie (una sorta di batteria umana), perché sta a significare una specie di perenne disponibilità, qualcosa che si può ricaricare, qualcosa che, da un momento all'altro, può riaccendersi, tornare in vita. L'oggetto poetico si trova in una sorta di perenne stand by".
(...) Un'ultima cosa ancora a proposito della proliferazione di scritture in rete: in un'epoca in cui noi siamo convinti dai media che tutti scrivono meno, che nessuno legge più, in realtà dentro le nostre linee telefoniche corrono quintali e quintali di scrittura occasionale di semicolti o incolti o anche di colti che si cimentano con un nuovo mezzo. In questa situazione, che cosa distingue ciò che noi chiamiamo letteratura? Un romanzo che compro in libreria è solo una delle tonnellate di scrittura che ci sommergono (più ancora delle immagini), oppure c'è qualcosa di speciale in quell'oggetto?
"Alla fin fine, il senso profondo di ciò che chiamiamo editoria risiede nella necessità della selezione; la differenza tra cartaceo e telematico sta solo nel fatto che il cartaceo prevede il numero chiuso, e il telematico no. Nel momento in cui anche la pubblicazione telematica richiedesse una scelta, diventerebbe immediatamente l'equivalente di una pubblicazione a stampa".
Infatti i primi casi di sperimentazione in linea alla fine non hanno torto un capello al sistema dell'editoria. Però certe scritture occasionali talvolta ti colpiscono...
"In genere, a chi mi scrive mail, rispondo di telefonarmi. Per me la scrittura è comunque talmente complicata che, se devo scrivere tre righe di una mail o un sonetto, le difficoltà restano sostanzialmente le stesse; allora tanto vale comporre un sonetto. Pur scrivendo così spesso, per me l'atto dello scrivere non è diventato più automatico, bensì più impegnativo di quanto non fosse prima. C'è uno scambio di battute illuminante, intercorso tra Gide e Valéry. Gide, sempre così ispirato, declama: 'Se mi impedissero di scrivere, mi ucciderei'. Al che l'amico ribatte: 'Se mi obbligassero a scrivere, mi ucciderei'. Tra i due non avrei dubbi".
**************************
Valerio Magrelli - POESIE (1980-1992) e altre poesie - ed. Einaudi
Un tempo si portava sulla pagina
il giorno trascorso, adesso invece
si parla solamente del parlare.
Come se nel tragitto
dall'impressione alla carta
si fosse dischiusa una vertigine.
Dunque passando
dall'una all'altra sponda
tutte le mercanzie vanno perdute
e il viaggiatore
dimenticato il viaggio
sa narrare soltanto del pericolo corso.
Soltanto il tempo veramente scrive
usando come penna il nostro corpo.
Per le strade, nei cinema o in un letto
questa calligrafia va persa
ed è atroce l'incuria
degli dei e degli uomini.
Quello che arriva sulla carta è solo
il commento residuo d'un poema
perennemente disperso.
Chiosa frugale, calco d'un racconto,
questo è l'indice ultimo degli indici.
Esistono libri che servono
a svelare altri libri,
ma scrivere in genere è nascondere,
sottrarre alla realtà qualcosa
di cui sentirà la mancanza.
Questa maieutica del segno
indicando le cose con il loro dolore
insegna a riconoscerle.
Grazie, Barbara, questo post è talmente ricco di suggestioni che sono stata indecisa se pubblicarlo tutto insieme o suddividerlo, per rifletterci meglio. Provo a dire alcune cose:
RispondiEliminariguardo alla scrittura sul web, i pareri sono estremamente discordanti, come è noto. Io credo che il nostro attaccamento ai libri cartacei sia un prodotto storico, che a noi appare ineliminabile ma che scoparirà in una sorta di evoluzione naturale. Probabilmente nel XV secolo molti studiosi preferivano i libri manoscritti, preziosissimi e difficili da reperire, rispetto agli anonimi libri a stampa che stavano nascendo. Oggi per noi sarebbe inconcepibile una letteratura per pochi iniziati e biblioteche come strumenti di gelosa conservazione e occultamento del sapere, che erano la norma nel medioevo. L'allargamento smisurato della diffusione della conoscenza è cominciato con Gutenberg, non con il web. E qui mi fermo, ma il discorso non è neppure agli inizi...
Pur non essendo una "feticista" dell'oggetto libro, confesso di avere grandi difficoltà, con la lettura on line. Se una cosa realmente mi interessa, o mi coinvolge, finisco sempre per stamparla. Perchè ho bisogno di tenerla fra le mani. Di stropicciarla. Di sentirne il suono quando giro i fogli. Ma probabilmente è perchè sono una vecchia cariatide: i miei figli avranno più dimestichezza con gli strumenti digitali.
RispondiEliminaUna nota a parte merita la poesia di Magrelli, che non conoscevo ma che ho trovato bellissima (e infatti me la stamperò... eh eh eh). "Esistono libri che servono a svelare altri libri, ma scrivere in genere è nascondere". Sono versi davvero meravigliosi.
Assolutamente d'accordo con te sulla poesia, Francesca: che dire ad esempio di questi versi?
RispondiEliminaSoltanto il tempo veramente scrive
usando come penna il nostro corpo.
Per le strade, nei cinema o in un letto
questa calligrafia va persa
ed è atroce l'incuria
degli dei e degli uomini
A parte una personale difficoltà a leggere sul video per lungo tempo che dipende forse dall'età, trovo che tutte queste domande se le pongano chi come noi appartiene alla "terra di mezzo". Ci ricordiamo e non vogliamo rinunciare al piacere di un libro tra le mani con il suo odore, con il suo calore, con la sua fisicità, ma non si vuole neppure rinunciare alle nuove opportunità del mezzo tecnologico. Divisi tra la nostalgia e la curiosità. Anche secondo me si arriverà ad una generazione che non avvertirà la rinuncia alla lettura dell'oggetto libro, ma ricordiamoci che c'è sempre il "vintage". Quando sono apparsi sul mercato i primi CD si è annunciata la morte dei dischi (quelli in vinile) e ora dopo vent'anni (forse?) ecco che ritornano e anche quelli più giovani li apprezzano. Trovo "romantico" chi avverte l'urgenza di scrivere a mano, è un gesto che fissa in modo diverso la parola dalla mente al foglio, quando una cosa non la voglio dimenticare la scrivo a mano e poi magari la ricopio più volte come un mantra. Se lo facessi con il computer non arriverei allo stesso risultato. Ma io sono io, i nosti figli sono altro.
RispondiEliminaDella poesia citata trovo strepitosi i primi tre versi, sicuramente me li scriverò.
Stella
Hai ragione, Stella, quando dici che noi siamo noi, i nostri figli sono altro. Quando ci occupiano di nuove tecnologie a scuola, si sottolinea sempre che ciò che cambia non è semplicemente il medium, ma la didattica stessa, dal punto di vista, direi, ontologico. Così è anche per il libro: lo scrittore romantico, genio solitario nel chiuso del suo studio, con il web lascia il posto ad un nuovo tipo di scrittura, che può essere condivisa prima ancora di avere una forma definitiva e che, soprattutto, può essere costruita collettivamente. E' un modo diverso di intendere il "mestiere" di scrivere, che però è in fondo la ripresa moderna di quella antica scrittura collettiva che erano ad esempio i grandi poemi del passato.
RispondiEliminaScusate se faccio la pignola, ma è una deformazione professionale. Nelle interviste è importante anche il nome dell'intervistatore. Sono andata a cercarlo su Internet.
RispondiEliminaQuesta bella intervista a Valerio Magrelli è stata fatta da Maria Rovetta e Anatole Fuksas.
Anche io ho difficoltà con la lettura on line. Soprattutto non ho pazienza. Secondo me la lettura on line e quella cartacea prevedono un diverso atteggiamento mentale e diverse velocità: nel primo caso si tratta di una lettura nervosa, nell'altro di una lettura più lenta e riflessiva. Inoltre il libro permette una "intimità" che il computer non concede. Io non so se in futuro un supporto soppianterà l'altro, ma spero in una lunga e pacifica convivenza e in una fruttuosa interazione. Riguardo alla manualità della scrittura, io la intendo come il lavoro di un artigiano che, poco alla volta, gesto dopo gesto, realizza il proprio manufatto.
RispondiEliminaScusa, Manu, ti prometto che mi applicherò per diventare più precisa :-).
RispondiElimina